Interventi di:
dr. Luciana Baroni
dr. Mauro Damiani
prof. Bruno Fedi
dr. Leila Nicoletti

Sommario

Cancro ed alimentazione: il ruolo dei nutrienti contenuti nella carne

Dr.ssa Luciana Baroni, spec. in neurologia, geriatria e gerontologia. Dirigente Medico

Premessa

Il cancro è la malattia più diffusa nelle società ricche dopo le malattie cardiovascolari; è responsabile in Italia di oltre il 25% delle morti, la metà delle quali è causata da tumore della mammella, del colon, della prostata e del polmone. Secondo il National Cancer Institute (USA), l'80% di tutte le forme tumorali sono dovute a fattori ben identificabili e come tali sono potenzialmente prevenibili. Per i tumori più diffusi è stato accertato un forte legame con il tipo di alimentazione.

In una analisi aggiornata basata su recenti e crescenti evidenze epidemiologiche, il prof. Willett stima che in media circa il 32% dei tumori riconosca una causa alimentare. Nel caso dei tumori più diffusi, le percentuali risultano ben superiori: prostata: 75%; colon-retto: 70%; mammella: 50%; pancreas: 50%.

Le Linee Guida per la prevenzione dei Tumori degli USA, redatte dal World Cancer Research Fund/American Institute for Cancer Research nel 1997 indicano l'aderenza ad una dieta ricca di fibre e povera di grassi, che includa vari tipi di frutta, verdura, cereali integrali e legumi, come migliore strategia per la prevenzione del cancro. Riguardo alla carne sanciscono espressamente espressamente:

  • Carne: se assunta, limitare il consumo di carne rossa a meno di 80 gr. al dì. E' preferibile l'assunzione di pesce, pollame ed altra carne.
  • Grassi ed olii totali: limitare il consumo di cibi grassi, particolarmente quelli di origine animale (derivati dalla carne, latte ed uova, NdR)
  • Sale: limitare il consumo di cibi salati e l'uso di sale per cucinare ed in tavola (i cibi animali conservati, es. gli insaccati, contengono elevate quantità di sale, NdR).
  • Preparazione di cibi: consumare solo occasionalmente carne e pesce alla griglia e carni affumicate.

1 - Contaminanti

La carne può contenere sostanze mutagene che possono contaminare il cibo nel corso di tutti gli stadi del processo di produzione: sono essenzialmente pesticidi, additivi, o materiali utilizzati nel corso del confezionamento. Le carni cotte con metodi domestici ad elevate temperature (carne, pollame e pesce) possono produrre delle sostanze genotossiche, denominate amine eterocicliche (HAAs); queste sostanze sono responsabili della formazione di DNA-adducts, che sono stati associati con un aumentato rischio di tumori del colon, del pancreas, della mammella, della prostata e delle vie urinarie. Si tratta di composti i cui metaboliti si accumulano in diversi tessuti dell'organismo, ritrovandosi anche nel latte e nelle urine, e che agiscono come carcinogeni a più livelli, interagendo con meccanismi ancora controversi con i fattori genetici.

2 - Macronutrienti

Alcuni macronutrienti contenuti nella carne sono riconosciuti fattori di rischio per il cancro.

2.1.Grassi animali: Una delle associazioni più studiate in epidemiologia è quella tra grassi nella dieta e cancro, particolarmente tra grassi di origine animale, derivati da carne e latticini, e cancro della mammella in epoca post-menopausale. Sono inoltre state descritte associazioni con il cancro della mammella in epoca premenopausale, del colon, della prostata, dell'ovaio, dell'endometrio, del pancreas. Studi sui flussi migratori, studi di popolazione e dati sull'animale supportano un effetto carcinogeno dei grassi della dieta. Nel 1997, il World Cancer Research Found e l'American Institute for Cancer Research concludevano che "Le diete ad elevato contenuto di grassi saturi possono aumentare il rischio di k mammario... Le diete ad elevato contenuto di grassi vegetali o polinsaturi non appaiono influenzare questo rischio... e le diete ricche in acidi grassi monoinsaturi non hanno alcuna relazione con il rischio di k mammario" e sulla base di queste osservazioni redigevano le Linee Guida già citate.

Tuttavia gli studi più recenti, soprattutto longitudinali, non sono tutti concordi sull'esistenza di un'associazione tra grassi della dieta (totali e saturi) e cancro in varie sedi. Recentemente è stata proposta l'ipotesi che problemi di tipo metodologico (soprattutto i questionari di autovalutazione della dieta) non siano adeguati per permettere di evidenziare questa correlazione.

2.2.Proteine: Esistono pochi studi che indentificano un ruolo delle Proteine (animali) sul rischio di cancro di mammella, rene, laringe, colon distinto da quello dell'assunzione di carne. L'effetto favorente la carcinogenesi sarebbe mediato da un'alterazione dell'asse IGF (Insulin-like Growth Factor, un potente fattore carcinogeno prodotto dall'organismo). Per il solo cancro del colon, la trasformazione ad opera dei batteri intestinali delle proteine della dieta in vari composti (ammonio, fenoli, indoli, amine) ad effetto genotossico, potrebbe costituire un ulteriore fattore di rischio. In volontari sani, l'assunzione di carne in dosi crescenti ha comportato la produzione di composti azotati in quantità anch'essa crescente, oltre ad un rallentamento del transito intestinale con conseguente prolungata esposizione della mucosa intestinale a queste sostanze tossiche.

2.3.Sale: Un eccesso di sale nella dieta e di cibi conservati con sale è associato con il cancro dello stomaco. Le diete ad elevato contenuto di sale potrebbero aumentare l'effetto carcinogeno dell'infezione da HP.

La carne è inoltre parzialmente o totalmente priva di tutte quelle sostanze a riconosciuto effetto protettivo nei confronti del cancro (Vitamina A, C, E, folati, sostanze fitochimiche), e che sono contenute nei cibi di origine vegetale. Incentivare -anziché limitare- il consumo di carne significa penalizzare l'assunzione di cibi vegetali ricchi di queste sostanze protettive, al punto che secondo alcuni Autori il cancro deriverebbe proprio dalla carenza nell'alimentazione di queste sostanze, metabolicamente necessarie e quindi da considerare come "nutrienti essenziali".

Carne, sostanza incompatibile con la natura umana

Dr. Chim. Mauro Damiani, presidente Associazione Scienza della Salute

La carne non è un cibo idoneo per l'uomo: su quest'asserzione non ci sono ormai più dubbi, una copiosa letteratura l'attesta e lo documenta. In subordine è quantomeno ampiamente provato che non è indispensabile per la salute dell'uomo. Il completo controllo dei poteri industriali sui mezzi d'informazione impedisce che queste importanti conoscenze siano di dominio pubblico, ma, nonostante tutto, il processo di diffusione su mezzi alternativi è incominciato e si ritiene che sia ormai inarrestabile.

La dannosità della carne non dipende soltanto dalla somma di sostanze chimiche, spesso di sintesi, aggiunte ai mangimi nella moderna pratica d'allevamento industriale: antibiotici, tireostatici, betabloccanti, estrogeni, sali di zinco, vaccini, anemizzanti, che sono somministrati agli animali stabulati anche per preservarli dalle malattie che li colpirebbero a causa delle innaturali condizioni in cui sono tenuti. Questo fatto con certezza contribuisce ad aumentarne la dannosità, ma anche la carne d'animali allevati nelle migliori condizioni possibili è nociva. La ragione fondamentale di questa nocività va ricercata con l'aiuto di due importanti branche della scienza, l'Anatomia Comparata e la Fisiologia Comparata. Ovviamente la descrizione dettagliata dei fenomeni esula dallo spazio di un breve articolo, per questa rimandiamo alla letteratura specifica.

L'anatomia comparata, in sintesi afferma che:

1.Gli animali carnivori hanno un intestino molto breve, circa 3-4 volte la lunghezza del tronco.

2.Gli animali erbivori hanno un intestino molto lungo, circa 20-22 volte la lunghezza del tronco.

3.Gli animali frugivoro-fruttariani, tra cui l'uomo e quasi tutto l'ordine dei primati, hanno un intestino di lunghezza intermedia circa 10-12 volte la lunghezza del tronco

La ragione di questa diversa lunghezza si comprende facilmente prendendo in considerazione i diversi cibi specie-specifici:

  • Le proteine della carne, nelle condizioni di temperatura del tratto digestivo, sono soggette a processi putrefattivi con sviluppo di sostanze tossiche che è bene che non siano assorbite, ed è per questo motivo che i carnivori hanno un intestino breve, che permette di ridurre il tempo di permanenza all'interno del corpo ed il conseguente rischio d'assorbimento delle tossine della putrefazione.
  • Gli animali erbivori, dovendo provvedere al laborioso processo di demolizione della lunga catena della cellulosa fino al glucosio, devono avere un intestino molto lungo che permette un maggiore tempo di permanenza all'interno del corpo.
  • Gli animali frugivoro-fruttariani, che non hanno quest'ultima necessità, hanno un intestino di lunghezza intermedia, ma tale in ogni modo da permettere l'assorbimento delle tossine di putrefazione della carne, da qui la ragione fondamentale della dannosità per loro della carne.

Quanto alla Fisiologia Comparata, il chimismo delle nucleoproteine è una delle tante prove che l'uomo non è un animale adatto per natura a nutrirsi di proteine animali; le nucleoproteine sono le proteine che costituiscono il nucleo d'ogni cellula, tra loro si annoverano gli acidi nucleici e le proteine basiche; gli acidi nucleici sono formati dall'unione di 4 (o 5) "nucleotidi". Ogni nucleotide è costituito da una base azotata unita ad uno zucchero esterificato con acido fosforico.

Le nucleoproteine vegetali contengono basi azotate prevalentemente del gruppo pirimidinico (timina, citosina, metilcitosina, uracile); il loro metabolismo, basato su processi ossidativi, dà, come prodotto finale urea, eliminata normalmente dall'uomo con l'urina.

Le nucleoproteine animali, contengono invece prevalentemente basi azotate del gruppo purinico ("purine": adenina, ipoxantina, xantina, guanina); queste basi danno come prodotto finale, acido urico. Nei carnivori tale acido è trasformato, mediante un particolare enzima, di cui sono provvisti (detto "uricasi"), dapprima in allantoina e poi per idrolisi in urea e quindi, come tale, eliminato.

Nell'uomo e nelle scimmie antropomorfe (che non possiedono il suddetto enzima) l'acido urico proveniente dall'uso alimentare della carne si combina con il sodio e si deposita soprattutto nelle articolazioni, sotto forma di urato di sodio, provocando dolori, tumefazioni, e deformazioni (gotta). Sintomi tipici della sindrome uricemica, che invece è del tutto assente nei carnivori.

Nell'uomo evidentemente la capacità uropoietica del fegato, in altre parole la capacità di quest'organo di fabbricare urea, è insufficiente a smaltire il carico derivante da consistenti quantità di proteine animali ed il processo uropoietico si ferma a metà, cioè all'acido urico.

Quelle indicate sono soltanto alcune delle principali prove della dannosità della carne, chi volesse approfondire l'argomento ha a disposizione una sterminata letteratura, del pari sterminata è però la letteratura in favore dell'uso della carne e che sostiene addirittura la sua indispensabilità per la salute umana; gli enormi interessi, non solo economici, connessi con l'uso alimentare della carne hanno addirittura permesso alla seconda di prevalere nell'accezione comune.

La ragione di questa prevalenza è abbastanza ovvia: l'enorme potere che il sistema industriale ha su tutti i mezzi di comunicazione, per quanto riguarda la letteratura scientifica, è ancora più forte. Come si sa le riviste scientifiche sono di solito pubblicate da Università od Accademie, organizzazioni alla continua ricerca di finanziamenti. L'industria chimica nelle sue varie branche (prodotti per l'agricoltura, farmaceutica, alimentare ecc.) provvede ampiamente alla bisogna finanziando ben determinati progetti di ricerca, quelli di proprio interesse.

La logica conseguenza è che in primo luogo non trovano finanziamento i progetti di ricerca che puntano a chiarire eventuali dannosità della carne, ed in secondo luogo che ben difficilmente sono pubblicati lavori di ricercatori indipendenti, soprattutto quando i risultati ledono gli interessi industriali. In sintesi sono senz'altro questi i motivi per cui gli articoli favorevoli all'uso della carne sono prevalenti.

Tuttavia il peso dell'argomento, la natura stessa delle cose, ha il suo effetto e nonostante tutti gli ostacoli si assiste ad un fiorire di articoli critici sulla salubrità dell'uso della carne. Nell'eventuale azione giudiziaria che come Forum Vegetariano ci proponiamo di intentare i periti nominati dal giudice si troveranno davanti ad un panorama di questo tipo.

Due fatti nuovi degli ultimi venti anni però, avranno, a mio parere, un ruolo importante nell'aumentare il peso della nostra posizione. Non si tratta in questo caso di articoli di personalità anche rilevanti ma, bensì, del parere di due grandi organizzazioni entrambe Americane, del Paese cioè che è stato il principale attore dell'enfasi sul consumo di carne nel secolo ventesimo:

1.Nel 1985 si è costituito negli USA il P. C. R. M. (PHYSICIANS COMITTEE for RESPONSIBLE MEDICINE), un "Comitato di Medici per la Medicina Responsabile", a cui aderiscono più di cinquemila medici e scienziati. Questa organizzazione ha raggiunto un'importanza notevole, svolgendo una funzione di informazione e pressione, anche con denunce penali, su tutti gli organismi statali competenti sull'argomento. Il PCRM ha ovviamente preso una posizione fermamente contraria all'uso della carne.

2.Particolarmente efficace è stata l'azione del PCRM sul Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), l'organismo che dal 1916 pubblica periodicamente un documento ufficiale intitolato "Dietary Guidelines for Americans" (Linee Guida Dietetiche per gli Americani"). Orbene, nell'edizione del 1996 di queste Linee Guida si riconosce finalmente che la dieta vegetariana non solo non ha nessuna controindicazione ma che è addirittura una valida via per la salute. E' grazie agli sforzi del PCRM ed a questa pubblicazione del 1996 che negli USA si assiste finalmente ad un'inversione di tendenza nella continua crescita della mortalità per malattie cardiocircolatorie.

Io spero vivamente che questi fatti opportunamente illustrati al giudice, dato che ben difficilmente possiamo sperare di vincere la causa, possano almeno fornirgli le prove che sull'argomento la posizione degli scienziati non è univoca, che si assiste cioè ad un classico caso di divaricazione delle opinioni. Ciò sarebbe di enorme importanza per la nostra causa, perché è la strada per dotarci dell'unica arma che al momento ci manca. Se il giudice, vista la divisione della scienza sull'argomento, ci accordasse una sorta di "par condicio", se in altre parole in ogni dibattito sui media sul tema alimentare fosse obbligatoria la presenza della parte contraria all'uso della carne si avrebbero finalmente i presupposti per un'effettiva diffusione della corretta informazione alimentare.

La carne: i danni del singolo, della collettivita', dell'ecosistema

Prof. Bruno Fedi, primario patologo, ex docente all'Università la Sapienza di Roma

Che "la carne fa male" è vero. Lo dimostra l'epidemiologia, che mette in evidenza come la longevità sia statisticamente e significativamente più alta nei vegetariani. Lo dimostra la patologia: i vegetariani si ammalano di cancro (in modo statisticamente significativo) meno degli onnivori. Lo stesso avviene per l'arteriosclerosi nelle sue varie forme: infarto, stroke, ipertensione. Lo dimostra anche la patologia minore: stipsi e varici sono pressoché assenti nei vegetariani. Inoltre mentre un tempo si accusava la dieta vegetariana di essere "carente" di alcuni elementi fondamentali, oggi è stanno emergendo le conseguenze delle carenze della dieta carnea. Si può ignorare l'evidenza ma non si può negarla.

Nella carne esistono altri fattori morbigeni indiretti: sono i fattori tossici e mutageni di provenienza agricola (2.000.000 di quintali di erbicidi, pesticidi, antigrittogamici e quant'altro distribuiti in agricoltura ogni anno in Italia). Questi fattori vengono concentrati nelle carni degli animali ed i loro effetti, anziché sommarsi si moltiplicano! Le carni alimentari contengono, inoltre, i residui ormonali impiegati negli allevamenti (ricordate il recente caso delle neonate a cui è cresciuto il seno, a Milano). Come se non bastasse, si trovano nelle carni i resti di antibiotici che contribuiscono a creare il fenomeno dell'antibiotico resistenza, anche in coloro che, prudentemente o casualmente, non hanno mai fatto uso di antibiotici. Per finire, l'uso di farine animali nell'alimentazione di altri animali destinati al macello ha portato alla BSE: ciò nonostante l'uso delle carni alimentari non si è ridotto (83 kg/pro capite, per l'anno, in Europa).

Dunque la carne fa male: concretamente, fa male, anche se teoricamente può non farlo, perché non è applicabile alla carne il concetto biologico di veleno. Questo fatto provoca enormi difficoltà pratiche. Una via per superarle, può essere quella giuridica, ma è percorribile? Debbono dircelo i giuristi. Tutto dipende dalla quantità, qualità e durata dell'alimentazione carnea. Ad un non giurista sembrerebbe sufficiente, per effettuare un grande passo in avanti, la proibizione a forzare il consumo di carne attraverso la pioggia di convegni, interviste a Nutrizionisti, rubriche di cucina, trasmissioni pseudo-folkloristiche che diffondono in modo subdolo il concetto errato che la carne fa bene. Sta a noi effettuare convegni etici, scientifici, giuridici che provochino un cambiamento della base culturale. Ed è questo che stiamo facendo.

Abbiamo creato una nuova cultura, realizzato un processo scientifico, ma dobbiamo fare un ulteriore passo: tradurre il tutto in termici giuridico-politici. In questi termini, la scelta vegetariana è una scelta antiviolenta, antimercantile, contraria al liberismo anarcoide e perfino al concetto classico di proprietà. Ma la base di tutto questo è scientifica. Il fatto fondamentale è aver dimostrato che la carne è un fattore morbigeno e che i danni prodotti da questa sono maggiori di quelli prodotti da moltissimi altri inquinanti.

Non si può trascurare il fatto che l'uso della carne serva a consolidare una società i cui principi sono la violenza, l'edonismo, lo sfruttamento dei più deboli. Una società sostanzialmente pagana, godereccia ed amorale, che considera solo l'aspetto economico immediato ed apparente dei problemi. Una società che fa ammalare per poter poi curare. Contro questa cultura dobbiamo politicamente proporre un modello nuovo di società e di vita.

Dobbiamo puntare sulla prevenzione. Poiché l'85% dei tumori è di origine ambientale è evidente che la sola riduzione del consumo di carne od il solo aumento del consumo di frutta o di vegetali in genere, sarebbe sufficiente a ridurre molte malattie e cambierebbe la società. Invece di parlare di qualità e di sicurezza dei singoli alimenti, come fa la società attuale, dobbiamo parlare di qualità e di sicurezza globali. Chi fa la scelta vegetariana, sceglie di essere, non di avere. Molto spesso sceglie, molto più concretamente, di continuare ad essere, anziché di non essere più.

Piu' carne, meno salute

Dott.ssa Leila Nicoletti, biologa, docente liceo classico, segretaria AVA

Per "carne" s'intende "un alimento costituito dal tessuto muscolare di vari animali (con l'esclusione della carne di pesce), ricco di proteine, ferro, ecc." (1). In realtà, in questa definizione si dovrebbe includere la carne di pesce, in quanto alimento proveniente da animali, vertebrati o invertebrati, acquatici (pesci, balene, rane, molluschi, crostacei, ecc).

Dal punto di vista nutrizionale, in 100 grammi di carne troviamo: 75% di acqua; 18% di proteine, contenenti amminoacidi, di cui uno soltanto, attualmente, è ritenuto essenziale (la treonina); sostanze azotate non proteiche (glutatione, creatinina, purine, ecc.); 3% di lipidi di deposito e strutturali, costituiti da acidi grassi saturi; 0,90% di glucidi (glicogeno); 0,10% di vitamine (soprattutto niacina, riboflavina, tiamina e B12) e tracce di elementi inorganici, in particolare: K, Na, Mg e Fe (in maggior misura), e Ca, Zn, Al, Cu, Mn in piccole quantità. (2)

Secondo gli ultimi dati ISTAT, in Italia si consumano 80 Kg pro capite all'anno di carni. Questo dato è allarmante, se si considera la crescita esponenziale dei vegetariani, soprattutto nelle grandi città, che ne abbassano la media.

Tutte le carni non sono adatte all'alimentazione umana, perché:

1. sono alimenti iperproteici ed a causa dell'eccesso di azoto, che l'organismo umano non può utilizzare, causano nefropatie di varia natura, iperuricemia, gotta, ecc. (3). Le proteine animali, contenute nel pesce, nei volatili, nelle carni rosse, oltre che nelle uova e nei latticini, tendono ad impoverire l'osso di calcio ed a favorirne la perdita con le urine. Le proteine vegetali, contenute nei legumi, nei cereali, nelle verdure, non sembrano avere questo effetto (4). Sulla base di numerosi studi di popolazione, disponibili nella letteratura scientifica, l'American Dietetic Association (la principale associazione di Nutrizionisti Americani), afferma che le diete vegetariane e vegane, correttamente bilanciate, sono in grado di fornire all'organismo un perfetto apporto proteico (4). Anche gli studi epidemiologici, condotti su popolazioni rurali cinesi hanno evidenziato come un apporto proteico, in larghissima parte di fonte vegetale, soddisfi in pieno le esigenze nutrizionali di chi svolge abitualmente lavori pesanti (5).

2. Sono alimenti acidificanti, che impoveriscono tutti gli umori cellulari di riserve alcaline, nel tentativo di neutralizzarne gli effetti, bloccando i prodotti terminali del catabolismo, causando così: fatica cronica, maggiore sensibilità alle infezioni per l'abbassamento delle difese immunitarie dell'organismo e, sottraendo calcio e magnesio alle ossa, con conseguenti osteoporosi e artriti (3).

3. Non contengono fibre indigeribili, presenti, invece, nella frutta e nella verdura, necessarie a stimolare la motilità intestinale. Un'alimentazione prevalentemente carnea causa: stitichezza, tossiemia, obesità, vene varicose, emorroidi, diverticoliti, appendiciti, cancro intestinale (statisticamente al 2° posto come frequenza) e malattie cardiovascolari (6).

4. Anche se contengono piccole quantità di vitamine idrosolubili (gruppo B) e liposolubili (A, D, E), queste vitamine, di fatto, con la cottura vengono tutte inattivate, a causa della loro termolabilità.

5. Contengono grassi saturi e colesterolo (anche quelle carni cosiddette "magre"), responsabili di molteplici effetti dannosi all'interno dell'organismo umano. I grassi animali sono risultati strettamente associati a: cancro al colon, mammella, prostata, ovaie, endometrio e pancreas ed al rischio di arteriosclerosi (7). E' inoltre, scientificamente provato che un'alimentazione troppo ricca di grassi saturi provoca steatorrea ed a lungo andare perdite di vitamina B12 e di calcio (8). Studi su flussi migratori, su popolazioni umane e altri dati supportano un effetto carcinogeno dei grassi nella dieta, anche se problematiche metodologiche impediscono di evidenziarne la correlazione in maniera chiara (9b).

6. Sono alimenti cancerogeni, comprovati da numerosi studi sul cancro, condotti su popolazioni di vegetariani, in cui si evidenzia un ridotto rischio globale di incidenza e di mortalità per cancro, rispetto ai non-vegetariani (9b). In particolare, le carni bovine, stimolano la produzione di acidi biliari, su cui agiscono alcuni microrganismi, (ad es. alcuni ceppi di clostridi) capaci, sottraendo idrogeno, di trasformarli in potenti cancerogeni come l'acido desossicolico e il litocolico (3).

7. Sono alimenti tossici: per il loro contenuto di tossine cadaveriche, che si sviluppano alla morte degli animali, che passano nel sangue umano (putrescina, cadaverina, ptomaine, scatolo, metil- etil-mercaptano, ecc.) e che l'organismo cerca di eliminare attraverso il fegato ed i reni, intaccandone l'efficienza; per le sostanze prodotte dalla paura degli animali al momento del macellazione (adrenalina, acido lattico, ecc.), in quanto gli animali avvertono che stanno per essere assassinati e sentono l'odore del sangue di chi li ha preceduti; per l'accumulo di pesticidi e di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo, ecc.) prodotti dalle attività industriali o agricole, che gli animali terricoli o acquatici incorporano nel proprio organismo, essendo gli ultimi anelli delle catene alimentari nell'ecosistema terra e che, infine, con gli alimenti, arrivano all'uomo (ad es. sono state trovate grandi quantità di pesticidi nel fegato dei tonni del Mediterraneo e, in minor misura, nei pesci dell'Atlantico); per i farmaci, che vengono somministrati agli animali, costretti a vivere in condizioni non naturali (antibiotici vari, antinfiammatori, ormoni soprattutto estrogeni, antitiroidei, sedativi, beta-bloccanti, sali di zinco, ecc.).

8. Sono pericolose, perché vengono macellati e immessi nella rete di distribuzione, animali infetti da malattie, quali TBC, afta epizoica, mastite, cancro, BSE, ecc. che sfuggono al controllo dei NAS.

9. Generano aggressività, perché fanno aumentare i livelli, nel cervello, di dopamina e di adrenalina, mentre fanno diminuire la serotonina, sintetizzata a partire dal triptofano, che giunge al cervello in dosi basse, a causa dell'impegno dei meccanismi di trasporto degli aminoacidi per le dosi elevate di tiroxina e leucina, contenute nelle carni in misura maggiore del triptofano. Una ridotta quantità di serotonina aumenta l'aggressività, diminuisce il sonno e predispone alla depressiome (3).

A partire dagli anni '40, la dott.ssa C. Kousmine aveva elaborato un metodo preventivo e curativo per le malattie degenerative ed il mantenimento del benessere generale, rivolgendosi, prima di tutto ai medici, ed individuando una serie di soluzioni associate ad una corretta alimentazione, basata su cibi integrali e di origine vegetale. La ricerca immunologica, oggi, le sta dando ragione a posteriori. Approfonditi studi, condotti dall'OMS, hanno evidenziato una forte correlazione tra alimentazione ed insorgenza di malattie neoplastiche ed autoimmuni. L'OMS stessa ha indicato, come prevenzione, un'alimentazione basata su alimenti di origine vegetale e cibi integrali (8). L'importanza di una dieta ben bilanciata, basata esclusivamente o principalmente su cibi di origine vegetale, ricca di antiossidanti e di fibre, priva di grassi animali e con un contenuto proteico limitato (Plant-based Diet) è stata documentata in svariate situazioni patologiche, come ad es. il morbo di Parkinson ed è risultata protettiva nei confronti dei rischi cardiovascolari, di stipsi e diverticolosi (9a).

BIBLIOGRAFIA:

1.Vocabolario Treccani Vol 1°

2.Nutrizione Umana di F. Fidanza , G: Liguori

3.Miti e realtà nell'alimentazione umana di Armando D'Elia

4.Documenti di Scienza Vegetariana: www.scienzavegetariana.it

5.Le Scienze- Maggio 1990

6.Mondo Vegetariano aprile 2003 articolo del dott. Piergiorgio Lucarini

7.Quaderni di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, a cura della dr.ssa L.Baroni

8.Atti del convegno: Nutrizione, malattie degenerative e cancro, del 24-26/10/2003, doc. "Nutrizione e malattie autoimmuni", del dott. Angelo Di Fede

9.Atti del convegno, Nutrizione, malattie degenerative e cancro, del 24-26/10/2003, doc. "Nutrizione e MdP" 9a) e "Cancro e Plant-based-diet" 9b) della dr.ssa L.Baroni

Published Online: 2 Aug 2004 -- Copyright © by SSNV / All rights reserved.