a cura del dr. Gianluca Rizzo e della Redazione di SSNV

I vari tipi di grassi

Siamo tutti a conoscenza del fatto che i grassi saturi sono quelli più nocivi, specie se in eccesso come accade nell'alimentazione media di oggi; che i monoinsaturi dovrebbero essere la nostra principale fonte di grassi e che abbiamo bisogno di una quota di polinsaturi introdotti dall'esterno poiché non siamo in grado di sintetizzarli. I grassi solidi a temperatura ambiente come il burro o lo strutto - grassi animali - contengono principalmente i dannosi acidi grassi saturi. Gli oli vegetali si trovano in natura allo stato liquido e quindi rappresentano una buona fonte di grassi mono e polinsaturi. Non tutti i grassi vegetali sono comunque salutari: margarine e burro di cacao si presentano anch'essi solidi a temperatura ambiente e vanno il più possibile evitati in una sana alimentazione.

L'olio d'oliva rappresenta una fonte importante di lipidi per il basso tenore in acidi grassi saturi (dannosi) ma anche per la prevalenza di grassi monoinsaturi (salutari).

Questo articolo intende:

- spiegare cosa si intende con Acidi Grassi Polinsaturi (PUFA), con particolare riguardo agli omega3, e a che cosa servono;

- esaminare le forme di tali acidi grassi: precursori e in "forma matura";

- spiegare dove si trovano i due tipi di forme negli alimenti vegetali;

- illustrare come il consumo di omega3 di origine vegetale sia sempre il più consigliabile, per ragioni sia di salute che di sostenibilità ambientale;

- riportare considerazioni per i casi di gravidanza, allattamento, infanzia e consigli pratici.

Cosa sono e a cosa servono i PUFA (Acidi Grassi Polinsaturi)

Gli acidi grassi polinsaturi sono molecole la cui struttura, che viene chiamata "catena", è basata su atomi di carbonio ed è caratterizzata dalla presenza di 2 o più doppi legami, ciascuno tra due atomi di carbonio adiacenti.

I PUFA sono importanti per la salute delle membrane cellulari di tutto l'organismo, le quali permettono la comunicazione con l'esterno e lo scambio di sostanze ai fini metabolici.

Un'altra importante funzione dei PUFA riguarda il loro ruolo come precursori degli eicosanoidi, una famiglia di mediatori chimici che agiscono assieme modulando le risposte del nostro organismo e regolando in particolare i meccanismi dell'infiammazione.

Gli effetti benefici dei PUFA, come indicato in particolare nel documento del 2010 dell'agenzia alimentare europea EFSA, nonché da varie altre fonti della letteratura scientifica, potrebbero esplicarsi sulle concentrazioni plasmatiche di trigliceridi, sull'aggregazione piastrinica, e sulla pressione sanguigna; sul rischio di mortalità per malattie coronariche e morte cardiaca improvvisa; sulla salute cardiocircolatoria e della retina; sulle malattie neurodegenerative, come l'Alzheimer.

Questi effetti riguardano la prevenzione di disturbi e malattie, ma i vegetariani, in particolare i vegani, dal punto di vista delle malattie sopracitate godono mediamente di una maggiore protezione rispetto agli onnivori, come evidenziato da numerosi studi di popolazione, i quali hanno mostrato che il tasso di rischio dei vegetariani per questo genere di malattie è inferiore. Non c'è ad oggi ancora evidenza che i vegetariani potrebbero ottenere ulteriori benefici per la salute riconducibili ai possibili effetti benefici dei PUFA, precedentemente elencati: per contro, gli onnivori se ne dovrebbero preoccupare ben di più, specie coloro che consumano alimenti di origine animale in quantità maggiore, ed essi dovrebbero piuttosto valutare una drastica diminuzione del cibo animale, prima ancora di una maggiore introduzione di omega3, dal cibo o da integratori.

Il consumo di PUFA può inoltre essere considerato come "cura" naturale in alcune particolari situazioni: per quanto riguarda l'infanzia, in studi preliminari i PUFA sono stati utilizzati nel trattamento di bambini con problemi di irascibilità, disturbi del sonno, disturbi dell'attenzione, dell'apprendimento e dislessia. Negli adulti, i PUFA possono essere una buona risposta ai problemi di circolazione linfatica, microcircolazione, modulazione insulinica nei diabetici di tipo II e per i disturbi associati a malattie infiammatorie (Crohn, psoriasi, artrite reumatoide, dermatite atopica) e alle condizioni di edema leggero. Questi dati, tuttavia, sono stati ottenuti da studi su soggetti onnivori cui sono stati somministrati integratori.

Quanti tipi di PUFA esistono?

Possiamo subito fare una prima distinzione tra omega3 e omega6, che consiste nella numerazione degli atomi di carbonio lungo la catena che forma la loro molecola. I due tipi di PUFA a loro volta possono contenere un numero variabile di doppi legami e possono avere una catena più o meno lunga.

Esiste poi una seconda distinzione tra "precursori" e acidi grassi "in forma matura", o "a catena lunga" (LCPUFAs). I precursori si ricavano dal cibo che consumiamo ogni giorno, subiscono delle trasformazioni all'interno del nostro organismo e diventano infine forme mature, biologicamente attive.

Il precursore degli omega3 si chiama Acido Alfa Linolenico (ALA). Il precursore degli omega6 è chiamato Acido Linoleico (LA). Da questi precursori si ottengono i PUFA a lunga catena (LCPUFAs), attraverso una cascata di reazioni che comportano l'azione di alcuni enzimi che compiono l'allungamento (detto elongasi) e altri che si occupano di aggiungere doppi legami (processo detto desaturasi).

Tra gli omega3, i più noti sono: EPA, DPA, DHA, che differiscono tra loro appunto per le caratteristiche suddette: lunghezza della catena di atomi di carbonio e numero di doppi legami. Questi sono gli acidi grassi "in foma matura", vale a dire il risultato della "trasformazione".

L'altro aspetto da considerare è "l'efficienza" della conversione dai precursori ai vari tipi LCPUFAs omega3. Ci concentriamo solo sugli omega3, perché gli omega6 sono molto facilmente ottenibili, in quanto l'alimentazione media ne é ricca (come vedremo poi, anche troppo ricca).

E' stato stimato che la conversione di ALA (il precursore) in EPA (l'omega3 in forma matura) è del 5-10% negli uomini sani e la conversione in DHA è del 2-5%. Nelle donne l'efficienza di conversione è molto più alta, rispettivamente del 21% e 9% circa: questo certamente accade perché la donna ha bisogno di quantità maggiori di omega3 in gravidanza e allattamento.

Va tuttavia tenuto presente che nel 2010 sono stati pubblicati i risultati dello studio EPIC (il più vasto studio di popolazione condotto sui livelli di ALA e sulla conversione in EPA e DHA) che hanno mostrato come, a fronte di una minore introduzione di omega3 attraverso la dieta tipica dei vegetariani (se paragonata a chi consuma pesce in quantità), i livelli di EPA e DHA sono risultati essere pressoché uguali nei due gruppi di campioni studiati (vegetariani e onnivori). Questo studio, che necessita tuttavia di conferma su un campione più vasto, suggerirebbe la presenza di una "efficienza di conversione" in acidi grassi omega3 a lunga catena significativamente migliore nei vegetariani rispetto agli onnivori.

Attenzione agli omega6

Grazie alla chimica degli alimenti, sappiamo bene che gli omega6 sono ampiamente distribuiti negli alimenti di più diffuso consumo. Il problema è che sono troppo presenti nell'alimentazione media, e possono ostacolare la trasformazione degli omega3 dai precursori presenti nei cibi alla forma matura.

Questo accade perché gli stessi enzimi elongasi e desaturasi vengono utilizzati anche nella trasformazione degli omega6, a svantaggio della trasformazione degli omega3, che rimarranno in forma di precursori. Tale problema della "concorrenza" tra omega6 e omega3 può risultare in una riduzione fino al 40% della trasformazione degli omega3. Inoltre, le due classi di acidi grassi essenziali danno origine a tipologie di ecosanoidi con azione tra loro opposta (proinfiammatoria, protrombotica e aggregante, citoproliferativa), e solo un bilancio delle due tipologie può portare a una risposta ben modulata. Inoltre dalla trasformazione ulteriore di EPA deriva il DHA, ampiamente contento nel tessuto nervoso e nella retina.

Per far fronte a questa situazione occorre valutare le fonti alimentari per selezionare quelle con un rapporto omega6/omega3 più vantaggioso; tali alimenti sono i semi e l'olio di lino (1:4), le noci (4:1), i semi e l'olio di canapa (4:1). Svantaggioso è invece l'olio di girasole (62:1) o altri olii di semi.

Fonti alimentari degli omega3

Tutta la frutta secca contiene una buona concentrazione di entrambi i precursori della serie omega3 e omega6, in particolare le noci hanno il miglior rapporto omega6:omega3.

E' noto inoltre che i semi di lino (da consumarsi macinati, oppure in forma di olio, ma solo se l'olio viene prodotto e commercializzato rispettando la catena del freddo) sono ottime fonti di ALA (omega3).

Per quanto riguarda le molecole in forma matura, vi sono solo due fonti: il pesce "grasso" e le alghe.

Perché i pesci sono ricchi di omega3 e come fanno gli animali onnivori a raggiungere una buona quota alimentare di PUFA maturi? Tutto dipende dal sistema della catena alimentare in cui un organismo funge da serbatoio per quello successivo. I pesci non sono molto più efficienti di noi nel sintetizzare dai precursori ma semplicemente ottengono gli acidi grassi essenziali già preformati (vale a dire in quella che abbiamo chiamato la "forma matura") attraverso l'alimentazione e precisamente dalle alghe marine.

Oggi sono stati individuati i ceppi di tale alghe e attraverso il loro consumo si possono ottenere gli acidi grassi omega3 in forma matura, in modo molto più efficace, senza il devastante impatto ambientale della pesca e tutti gli sprechi e l'inquinamento ad essa associati, oltre ai danni per la salute che il consumo di pesce comporta.

Ha senso assumere gli omega3 in forma matura attraverso il consumo di pesce?

Viene spesso sottolineato quanto il pesce sia ricco di acidi grassi omega3. Ma in realtà il pesce contiene vari grassi di diverso tipo. Tra il 15% e il 30% dei grassi nel pesce sono i soliti grassi saturi (cioè i grassi "cattivi"). Un po' meno che nel manzo e nel pollo, ma molto, molto di più che nei vegetali. E il grasso del pesce fa ingrassare esattamente come il grasso del pollo o del maiale. Il pesce contiene inoltre molto colesterolo. I gamberi e altri crostacei hanno quasi il doppio di colesterolo rispetto al manzo.

Uno studio pubblicato nel 2008 sulla rivista scientifica Journal of the American Dietetic Association, che analizzava il contenuto di acidi grassi nei pesci più diffusi sul mercato, ha determinato che i pesci più venduti sono quelli a più basso contenuto di omega3 e che presentano caratteristiche pro-infiammatorie e quindi dannose alla salute. Tali pesci sono un cibo pericoloso per pazienti come i cardiopatici, quelli affetti da artrite, asma, o altre malattie autoimmunitarie, che sono particolarmente sensibili alle sostanze pro-infiammatorie (come quelle che derivano dall'acido arachidonico, la forma omega6 matura), in grado di alimentare una anomala risposta infiammatoria che può danneggiare i vasi, il cuore, i polmoni e le articolazioni.

Da un convegno del 2006 dei maggiori esperti nel campo della contaminazione da mercurio sono emerse raccomandazioni, pubblicate nel 2007 su Ambio (la rivista dell'Accademia Reale delle Scienze svedese) e riprese da varie autorità sanitarie nazionali, che invitano a mantenere molto bassi i consumi di pesce per donne in gravidanza e bambini al di sotto degli 11 anni, in quanto il mercurio e' una neurotossina potente, e puo' interferire nello sviluppo del cervello, riducendo l'intelligenza dei bambini, specie se esposti durante lo stadio fetale.

I pesci di allevamento, anziche' pescati nei mari e fiumi, non sono piu' "salutari", perche', se anche contengono meno mercurio, contengono un cocktail di antibiotici, farmaci in genere, sostanze chimiche presenti nei mangimi, cosicche', come tutti gli altri animali d'allevamento intensivo, diventano un concentrato di sostanze chimiche dannose.

Dal punto di vista ambientale, la pesca e l'ittiocoltura come le conosciamo oggi, forniscono un grosso contributo al depauperamento delle risorse ambientali e della biodiversità, spesso sottovalutato e messo in ombra dai più evidenti problemi dell'allevamento bovino e avicolo, ma tuttavia ugualmente rilevante. In un tale contesto, non è più accettabile la massima inflazionata "il pesce fa bene".

Per quanto riguarda l'assunzione di omega3 da integratori di origine animale, il tradizionale integratore, disponibile prima della scoperta del funzionamento delle microalghe, era il tanto odiato (perché di pessimo sapore) "olio di fegato di merluzzo", oggi disponibile in forma di capsule di olio di pesce insapori.

Si tratta di un prodotto che genera uno spreco di risorse e un impatto ambientale di vaste proporzioni: per una piccola quantità di olio di pesce, occorre pescare una quantità enorme di pesci. Attualmente tutte le "zone di pesca" del mondo sono state devastate dalla pesca selvaggia, e tutti gli esperti del settore concordano nell'affermare che la situazione non è più sostenibile.

Oltre all'assurdo dal punto di vista della sostenibilità e dello spreco di risorse, anche dal punto di vista della salute svariati studi pubblicati evidenziano come gli effetti benefici degli integratori a base di olio di pesce non siano mai stati dimostrati (vedi articolo: Omega-3 dal pesce: non sono salutari).

Gravidanza, allattamento, infanzia

Nel bambino, una sufficiente dose di omega3 permette un corretto sviluppo cerebrale. In assenza di tale quota, le forti richieste per la crescita tissutale potrebbero portare a problemi visivi e neuro-psicologici di varia entità in base al livello di carenza. Ovviamente anche in età fetale e neonatale lo sviluppo del tessuto nervoso richiederà una forte dose di queste sostanze che, in questo caso, diventa onere esclusivo della madre fornire.

Il sistema enzimatico di maturazione dei PUFA è ancora poco efficiente nel feto e nel neonato e gli omega3 devono essere assorbiti già in forma matura attraverso il latte materno e la placenta. Si è visto come nel plasma materno le concentrazioni dei precursori sono maggiori rispetto al plasma placentare (e quindi del feto), mentre gli acidi grassi in forma matura si trovano a maggiore concentrazione nel plasma placentare piuttosto che in quello materno. Questo è un sistema elegante che la natura ha escogitato per facilitare l'apporto di nutrienti al feto, in un momento di sviluppo nervoso così delicato.

Purtroppo, questo porta anche a un rapido depauperamento dei depositi materni, che si accentua molto con il susseguirsi delle gravidanze durante l'arco della vita. Ciò implica che tali acidi grassi essenziali potrebbero dover essere assunti dalla donna anche in forma matura e non solo come precursori.

Di norma, dunque, il corretto apporto di PUFA nelle donne in gravidanza e allattamento può essere ottenuto semplicemente dai precursori ricavati dall'alimentazione (dai cibi vegetali), appunto perché l'efficienza di trasformazione da precursori a omega 3 maturi è molto migliore nelle donne rispetto agli uomini.

Tuttavia, è utile sapere che, nei casi in cui sia necessario invece l'apporto di omega3 in forma matura, sono facilmente disponibili quelli ricavati direttamente dalle alghe.

Nel caso in cui sia necessario valutare il livello di PUFA presente nell'organismo, il metodo più utilizzato, finora, è l'analisi dei lipidi delle membrane eritrocitarie, piastriniche e dei lipidi plasmatici.

Raccomandazioni pratiche

Alla pagina "Acidi grassi e omega3" del sito PiattoVeg sono riportate le quantità consigliate di alimenti vegetali che contengono la quantità adeguata di precursori nonché le indicazioni sui prodotti a base di alghe per l'ottenimento degli omega3 in forma matura:
https://www.piattoveg.info/omega3.html

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Published Online: 16 May 2013 -- Copyright © by SSNV / All rights reserved.