Notizie precedenti all'agosto 2006

6-8-2006

Consumo di proteine e fratture ossee nelle donne.

Feskanich D, Willett WC, Stampfer MJ, Colditz GA.

Le proteine aumentano la perdita di calcio con le urine e sono state associate con più elevati tassi di fratture prossimali di femore in studi cross-culturali. Comunque, la relazione tra proteine e rischio di fratture osteoporotiche tra individui diversi non è stata esaminata in dettaglio. In questo studio prospettico, è stato conteggiato il consumo abituale di alimenti nel 1980 in una coorte di 85.900 donne di età compresa tra 35 e 59 anni, che partecipavano al Nurses' Health Study. E' stato utilizzato un questionario food-frequency, spedito per posta, al fine di registrarne le abitudini alimentari; l'incidenza di frattura di femore prossimale (n=234) e di avambraccio distale (n = 1.628) è stata valutata attraverso la segnalazione da parte del soggetto, per il periodo dei 12 anni successivi. Informazioni su altri fattori collegati all'osteoporosi, inclusa l'obesità, l'uso di estrogeni in epoca post-menopausale, fumo, e attività fisica, sono state raccolte attraverso questionari biennali. I dati sull'alimentazione sono stati aggiornati nel 1984 e nel 1986.

L'assunzione dietetica di proteine è risultata associata con un aumento del 22%a del rischio di fratture all'avambraccio nelle donne che consumavano più di 95 g di proteine al giorno in confronto a quelle che ne consumavano meno di 68 g al giorno. Un aumento sovrapponibile del rischio è stato osservato per le proteine animali, mentre nessuna associazione è stata trovata con il consumo di proteine vegetali. Le donne che consumavano 5 o più porzioni di carne rossa a settimana presentavano un significativo aumento (23% b) del rischio di fratture all'avambraccio rispetto alle donne che consumavano carne rossa meno di una volta a settimana. In riferimento alla dieta seguita durante l'adolescenza, non è stato evidenziato alcun aumento del rischio di fratture dell'avambraccio nelle donne con più elevati consumi di proteine animali o carne rossa durante questo periodo della vita. Non è stata inoltre osservata alcuna associazione tra l'assunzione di proteine in età adulta e l'incidenza di frattura prossimale di femore, ma tuttavia la possibilità statistica di valutare questa associazione era bassa (a causa del basso numero di eventi, NdT).

Note:

(a) rischio relativo (RR) = 1.22, intervallo di confidenza del 95% (Cl) 1.04-1.43, p= 0.01
(b) rischio relativo (RR) = 1.23, 95% CI 1.01-1.50

Originale: Feskanich D, Willett WC, Stampfer MJ, Colditz GA Protein consumption and bone fractures in women, Am J Epidemiol. 1996 Mar 1;143(5):472-9

29-7-2006

Associazione cross-culturale tra consumo di proteine animali e frattura prossimale di femore: un'ipotesi.

Abelow BJ, Holford TR, Insogna KL.

I dati corretti per età sull'incidenza di frattura prossimale di femore nelle donne fanno notare come questo tipo di frattura risulti più frequente nelle nazioni industrializzate rispetto a quelle non industrializzate. Una possibile spiegazione, che ha ricevuto tuttavia ancora poca attenzione, è che l'elevata produzione di metaboliti acidi associata ad una dieta ricca di proteine animali possa essere responsabile di una cronica azione tampone da parte dell'osso, con secondario impoverimento dell'osso stesso.

Nel tentativo di esaminare la validità di questa ipotesi, abbiamo esaminato le variazioni del consumo di proteine animali e l'incidenza di frattura prossimale di femore in varie culture. Dall'analisi di 34 studi scientifici, pubblicati in 16 nazioni, la regressione lineare tra il tasso di frattura e i consumi stimati di proteine animali ha evidenziato una forte associazione positiva. Questa associazione non può essere plausibilmente spiegata né dai consumi dietetici di calcio né dai consumi calorici totali.

Studi recenti suggeriscono che l'associazione tra proteine animali e frattura prossimale di femore possa basarsi su di una solida base biologica. Concludiamo che sono necessari ulteriori studi a verifica dell'ipotesi che mette in relazione l'osteoporosi con il carico metabolico acido.

Originale: Abelow BJ, Holford TR, Insogna KL. Cross-cultural association between dietary animal protein and hip fracture: a hypothesis, Calcif Tissue Int. 1992 Jan;50(1):14-8.

30-4-2006

Fratture, calcio e la dieta moderna.

D Mark Hegsted

Sebbene da lungo tempo venga raccomandata un'elevata assunzione di calcio per prevenire l'osteoporosi, esistono scarse evidenze che elevate assunzione di calcio siano realmente efficaci nella prevenzione delle fratture. Le fratture osteoporotiche sono, come la malattia coronarica, soprattutto una malattia delle società occidentali. Recenti evidenze sugli effetti favorevoli nella prevenzione delle fratture da parte delle statine, farmaci che bloccano il pathway dell'acido mevalonico, che diminuiscono le concentrazioni di colesterolo sierico e che riducono il rischio di malattia cardiovascolare, insieme alla crescente mole di dati che dimostrano come le diete che prevedono un elevato consumo di frutta e verdura esercitano effetti benefici sulla prevenzione delle fratture, suggeriscono l'esistenza di fattori eziologici nella dieta comuni a queste due malattie.

Ulteriori ricerche in questo campo dovrebbero pertanto rispondere a questa domanda formulata molto tempo fa: Perché le popolazioni che consumano diete con ridotti contenuti di calcio si fratturano meno rispetto alle società occidentali, che consumano diete ricche in calcio?

Originale: Hegsted DM. Fractures, calcium, and the modern diet, Am J Clin Nutr. 2001 Nov;74(5):571-3
Articolo completo: Fratture, calcio e la dieta moderna.

2-4-2006

Latte, grassi dei prodotti caseari, assunzione di calcio e aumento di peso: uno studio longitudinale su adolescenti

Berkey CS, Rockett HR, Willett WC, Colditz GA.

BACKGROUND: il latte è propagandato come una bevanda salutare per i bambini, ma alcuni ricercatori ritengono che gli estroni e le proteine del siero del latte (presenti nel latte e suoi derivati) possano causare aumento del peso corporeo. Altri studiosi, al contrario, affermano che il calcio contenuto in questi prodotti possa favorire la perdita di peso.

OBIETTIVO: studiare l'associazione tra latte, assunzione di calcio da cibo e bevande, grassi del latte e derivati, e variazioni del peso corporeo nel corso del periodo di osservazione.

MATERIALI, METODI E MISURE DI OUTCOME: abbiamo seguito una coorte di 12.829 bambini statunitensi, che nel 1996 avevano un'età compresa tra i 9 e 14 anni, e che hanno risposto ad un questionario inviato per posta fino al 1999. Ogni anno i bambini hanno riportato la loro peso e altezza, completando un questionario di food-frequency riguardante il consumo di cibo abituale nel corso dell'anno precedente. Abbiamo valutato l'associazione tra le variazioni dell'indice di massa corporea (BMI - body mass index, calcolato come peso in Kg diviso per altezza in metri al quadrato) di anno in anno e il consumo degli alimenti sopra citati dopo aggiustamento per crescita e sviluppo durante l'adolescenza, etnia, livello di attività fisica e sedentarietà, e (in alcuni modelli) assunzione di energia totale.

RISULTATI: nei soggetti che bevevano più di 3 porzioni al giorno di latte (=3 bicchieri) si è verificato un maggior incremento di BMI rispetto a quelli che ne consumavano quantità minori (ragazzi: beta +/- SE, 0.076 +/- 0.038 maggiore di quanti bevevano 1 o 2 bicchieri al giorno [P = 0.04]; ragazze: beta +/- SE, 0.093 +/- 0.034 maggiore di quante bevevano da 0 a 0.5 bicchieri al giorno [P = 0.007]). Nei ragazzi, il consumo di latte era associato con un leggero incremento del BMI durante l'anno (beta +/- SE, 0.019 +/- 0.009 per porzione al giorno; P = 0.03); simili risultati sono stati ottenuti per le ragazze (beta +/- SE, 0.015 +/- 0.007 per porzione al giorno; P = 0.04). Sia il consumo di latte parzialmente scremato (contenente l'1% di grassi) nei ragazzi, che di latte scremato nelle ragazze, è risultato significativamente associato con l'aumento di BMI, come pure l'introito complessivo di calcio con la dieta. L'analisi multivariata dell'assunzione di latte, grassi del latte e derivati, calcio e calorie totali, ha suggerito che quest'ultimo parametro sia il più importante predittore di incremento ponderale. L'analisi delle variazioni annuali del consumo di latte, calcio, grassi di origine casearia e calorie totali, hanno portato a conclusioni analoghe; un aumento dell'apporto calorico rispetto all'anno precedente era in grado di predirre un aumento del BMI nei ragazzi (P = 0.003) e nelle ragazze (P = 0.03).

CONCLUSIONI: i ragazzi (età 9-14 anni) che avevano bevuto le maggiori quantità di latte avevano sviluppato un maggiore incremento di peso, apparentemente riferibile al maggiore apporto calorico. Contrariamente alle nostre ipotesi di partenza, l'introito di calcio e il consumo di latte parzialmente scremato (1%) e scremato erano associati con aumento ponderale, mentre i grassi del latte e derivati non lo erano. Bere grandi quantità di latte può determinare un eccessivo apporto calorico per alcuni ragazzi.

Originale: Berkey CS, Rockett HR, Willett WC, Colditz GA. Milk, dairy fat, dietary calcium, and weight gain: a longitudinal study of adolescents., Arch Pediatr Adolesc Med. 2005 Jun;159(6):543-50

COMMENTO

Questo studio è particolarmente importante per le conseguenze che potrebbe (e dovrebbe) avere nei Paesi ad alta incidenza di obesità infantile, Europa ed USA in testa. Esso infatti contraddice l'ipotesi di una associazione inversa tra latte e peso corporeo (ovvero che il latte sia in grado di prevenire il soprappeso-obesità) e che viene utilizzata a sostegno delle campagne di promozione del consumo di latte.

In questo studio, la dr.ssa Berkey della Harvard Medical School e del Brigham and Women's Hospital a Boston -responsabile dello studio-, e i suoi collaboratori hanno analizzato i dati raccolti su 12.892 bambini residenti in tutti i 50 stati USA, che avevano un'età compresa tra i 9 e i 14 anni nel 1996, all'epoca in cui hanno cominciato a partecipare allo studio "Growing Up Today", un progetto tuttora in corso rivolto ad analizzare la relazioni tra dieta, esercizio fisico e una miriade di problemi di salute.

I ricercatori hanno esaminato la relazione tra l'assunzione di latte nei bambini tra il 1996 e il 1999 e il comportamento del peso corporeo nel tempo. I bambini che assumevano oltre tre porzioni da 240 cc di latte al giorno hanno presentato il maggior incremento ponderale, anche dopo aver eliminato l'effetto di altri fattori come l'attività fisica, altri fattori dietetici e l'accrescimento. L'associazione con il latte non si modificava, anche se maggior parte dei bambini assumeva latte scremato. La cosa sorprendente, infatti, è che apparentemente ciò si verifica con qualsiasi tipo di latte.

Secondo alcune ricerche, il calcio o altre sostanze presenti nel latte possono condurre l'organismo a produrre minori quantità di grassi e a renderne più rapida l'eliminazione. Anche se gli studi disponibili non sono concordi, negli USA il National Dairy Council ha investito 200 milioni di dollari a partire dal 2003 per promuovere campagne a sostegno che il latte possa favorire la perdita di peso. Questo grosso studio (il più vasto condotto ad oggi per valutare questo problema nei bambini) mette invece in discussione la pesante propaganda dell'industria casearia. I risultati dicono l'esatto contrario, e cioè che l'aumento del consumo di latte comporta un contestuale incremento del peso corporeo. Nello specifico i bambini che consumavano oltre tre porzioni di latte al giorno presentavano un aumento del 35% della probabilità di sviluppare sovrappeso, rispetto ai bambini che ne consumavano una o due porzioni.

Lo studio si inserisce in un clima di forte preoccupazione per il crescente problema dell'obesità nei bambini. La percentuale di giovani in sovrappeso negli USA è più che triplicata dal 1980. Esperti della sanità pubblica hanno sollevato particolari timori per la correlazione tra il consumo di bibite e i problemi di peso, convincendo molti genitori a indurre i propri figli a bere maggiori quantità di latte al posto delle altre bevande. Tuttavia, i ricercatori che hanno analizzato la possibilità che i bambini possano trarre vantaggio dalla sostituzione delle bibite con il latte, non hanno trovato alcuna prova in questo senso. "I nostri risultati non indicano che si possa ottenere una riduzione del peso corporeo con la sostituzione delle bevande dolci con il latte" ha affermato la dr.ssa Berkey.

Negli USA, l'industria casearia ha contestato l'ipotesi che il nuovo studio metta in discussione il messaggio pubblicitario, sostenendo di aver semplicemente affermato che gli adulti potrebbero perdere più chili assumendo latte e riducendo le calorie. Il dr. Zemel della University of Tennessee, un ricercatore che riceve finanziamenti dall'industria casearia sostiene che "Esistono alcuni studi che dimostrano gli effetti positivi del latte" e che "un incremento nel consumo dei prodotti caseari potenzia l'effetto ottenuto dalla riduzione delle calorie della dieta sul peso corporeo".

Molti ricercatori sono invece concordi sul fatto che i risultati di questo studio mettano in discussione l'idea che il latte possa favorire la perdita di peso. "Ultimamente si è molto chiacchierato sul fatto che qualcosa come il calcio presente nei prodotti caseari possa contribuire alla perdita di peso. Non c'è certamente alcuna evidenza di questo" ha affermato il dr. Pi-Sunyer, un ricercatore della Columbia University specializzato nel campo dell'obesità.

"Ho iniziato a lavorare a questo progetto convinta che il consumo di latte avrebbe comportato benefici in termini di peso nei bambini. Sono così rimasta molto sorpresa dei risultati" ha affermato la dr.ssa Berkey. "Ne ho invece concluso che i bambini non dovrebbero bere il latte per perdere peso o cercare di controllarlo."

5-3-2006

Interazione tra livelli plasmatici dell'ormone paratiroideo, sufficiente vitamina D e assunzione di calcio.

Steingrimsdottir L, Gunnarsson O, Indridason OS, Franzson L, Sigurdsson G.

INTRODUZIONE: L'importanza di un adeguato stato della vitamina D in relazione alla salute dell'osso ha ricevuto crescente attenzione negli ultimi anni; nonostante ciò, il livello di assunzione ideale non è ancora ben stabilito. Sebbene la concentrazione plasmatica di 25-idrossivitamina D sia generalmente accettata come indicatore dello stato di vitamina D dell'organismo, non si è tuttavia raggiunto a livello internazionale un accordo su quelli che dovrebbero essere i valori normali di riferimento.

OBIETTIVO: indagare l'importanza relativa di un'elevata assunzione di calcio e della concentrazione plasmatica di 25-idrossivitamina D sull'omeostasi del calcio, quest'ultima stabilita attraverso la concentrazione plasmatica del paratormone intatto (PTI).

MATERIALI E METODI: si tratta di uno studio trasversale su 2310 adulti Islandesi in buona salute, suddivisi in 3 gruppi di età (30-45, 50-65 e 70-85 anni) e reclutati tra febbraio 2001 e gennaio 2003. Le assunzioni di calcio e vitamina D sono state determinate con un questionario semi-quantitativo food-frequency. I partecipanti sono stati ulteriormente divisi in gruppi sulla base delle assunzioni di calcio (< 800 mg/die, 800-1200 mg/die, e > 1200 mg/die) e dei livelli plasmatici di 25-idrossivitamina D (< 10 ng/mL, 10-18 ng/mL, e > 18 ng/mL).

MISURA PRINCIPALE DI OUTCOME: la concentrazione plasmatica di paratormone intatto (PTI), come risultato del livello di assunzione di Calcio e dallo stato della vitamina D.

RISULTATI: 944 partecipanti in buona salute hanno completato tutte le parti dello studio. Dopo aggiustamento per i principali fattori confondenti, i livelli più bassi di PTI sono stati riscontrati nel gruppo con concentrazione plasmatica di 25-idrossivitamina D maggiore di 18 ng/mL mentre i più alti nel gruppo con concentrazione minore di 10 ng/mL. Nel gruppo con livello di 25-idrossivitamina D basso (< 10 ng/mL), un'assunzione di calcio minore di 800 mg/giorno rispetto ad una maggiore di 1200 mg/giorno, era significativamente associata (p= 0,04) con maggiori livelli plasmatici di PTI; inoltre una differenza significativa (p= 0,04) è emersa nel gruppo ad alta assunzione di calcio (> 1200 mg/die) tra quelli con una bassa (< 10 ng/mL) e un'alta (> 18 ng/mL) concentrazione di 25-idrossivitamina D.

CONCLUSIONI: purché sia garantito un adeguato livello di vitamina D, assunzioni di calcio superiori a 800 mg/giorno non servono a mantenere l'omeostasi del calcio. Un'integrazione di vitamina D nella dieta è necessaria per garantire un adeguato stato della vitamina D nei Paesi nordici.

Originale: Steingrimsdottir L, Gunnarsson O, Indridason OS, Franzson L, Sigurdsson G. Relationship between serum parathyroid hormone levels, vitamin D sufficiency, and calcium intake., JAMA. 2005 Nov 9;294(18):2336-41

COMMENTO

In breve lo studio dimostra che l'apporto/disponibilità di vitamina D è più importante di un alto introito di calcio nella regolazione del metabolismo dell'osseo. Infatti, dosi superiori a 800 mg/die di calcio non hanno nessun effetto sul metabolismo dell'osso (misurato attraverso i livelli di paratormone) se la concentrazione di vitamina D è nella norma. Soltanto in presenza di ridotto apporto/disponibilità di vitamina D l'introito di quantità superiori di calcio (>1200 mg/die) può abbassare il livello di paratormone in maniera significativa, ma in ogni caso la riduzione è inferiore (non statisticamente) a quella ottenibile se i livelli di vitamina D sono adeguati.

Lo studio aggiunge un altro elemento di conoscenza al complesso sistema di regolazione del metabolismo dell'osso, ridimensionando l'importanza assoluta spesso attribuita all'apporto dietetico di calcio. Alle nostre latitudini (Italia) l'irradiazione solare diretta (non schermata da creme solari o attraverso vetri) può essere sufficiente a garantire livelli adeguati di vitamina D nell'organismo; basti pensare che l'esposizione al sole di tutto il corpo per 10-15 minuti in estate stimola la produzione di circa 20.000 UI di vitamina D3, pari a 50 volte il livello di apporto raccomandato con la dieta in soggetti non esposti al sole (400 IU/die). Inoltre, a differenza della vitamina D assicurata dalla produzione cutanea, che è regolata dalle necessità dell'organismo, l'assunzione indiscriminata di integratori può provocare un eccesso di vitamina D nell'organismo e determinare intossicazione (ipervitaminosi).

28-2-2006

Il ruolo del latte per la salute: incertezze scientifiche

da: "On the table", www.onthetable.net, 17 Marzo, 2005

Quando si parla di alimentazione, è importante fare attenzione ai luoghi comuni. A volte, infatti, la saggezza popolare non sopravvive ad analisi dettagliate.

Ad esempio, per molte generazioni si è creduto nei benefici effetti del bere otto bicchieri d'acqua al giorno, nonostante l'assenza di qualsivoglia fondamento scientifico. Oggi consapevolmente lasciamo che le quantità d'acqua consumate siano regolate dalla nostra sete.

Allo stesso modo, è risaputo che il latte faccia bene alla salute. Nonostante l'indiscussa importanza del calcio e di altre sostanze nutritive contenute nel latte, la scienza non garantisce che un incremento del consumo di latte possa risultare benefico per la maggior parte dei consumatori.

L'idea è saldamente radicata nelle nostre abitudini alimentari e agricole, rafforzate dalla mole dei messaggi pubblicitari dell'industria casearia.

Di fatto, le 2005 Dietary Guidelines for Americans hanno modificato la raccomandazione di consumo di latte per la maggioranza degli americani, portando a tre le due dosi consigliate nei rapporti precedenti. Secondo la motivazione principale citata nel rapporto, il latte ha effetti benefici sulle ossa.

Tuttavia, alcuni esperti nutrizionisti hanno sollevato qualche dubbio.

Innanzitutto, consideriamo le quantità raccomandate di calcio.

Le raccomandazioni del governo sono basate sull'analisi condotta dalla National Academy of Science su "studi di bilancio del calcio" finalizzati a identificare la quantità di calcio da assumere per compensare la quantità escreta dal'organismo. Gli studi hanno suggerito un consumo adeguato pari a 550 milligrammi al giorno.

Ma le quantità raccomandate dal governo sono state raddoppiate dalla NAS per la maggioranza dei consumatori - fissando 1.000 o 1.200 milligrammi al giorno - per garantire che il 95 percento della popolazione assuma i 550 milligrammi raccomandati. Le raccomandazioni del governo relative ad un consumo giornaliero di tre porzioni di prodotti caseari sono volte al raggiungimento del livello maggiorato di assunzione di 1.000 milligrammi di calcio.

I ricercatori della Harvard School of Public Health mettono in discussione questo approccio nella guida online all'alimentazione Nutrition Source con queste motivazioni:

  • Gli studi di bilancio del calcio hanno un significato a breve termine. Gli studi a lungo termine offrono una panoramica più dettagliata sulle modalità di adattamento dell'organismo alla variazione delle quantità di assunzione del calcio nel tempo. Secondo questi studi a lungo termine - alcuni condotti dai ricercatori di Harvard - dosaggi elevati di calcio a partire dal latte non riducono il rischio di osteoporosi.

  • Altri traggono benefici da quantità inferiori. In India, Giappone e Perù, ad un consumo medio giornaliero di 300 milligrammi di calcio corrisponde un basso indice di fratture ossee. È possibile che fattori quali la maggior attività fisica o le maggiori quantità di vitamina D derivanti dall'esposizione alla luce del sole siano responsabili della differenza.

  • Altri sono giunti a conclusioni diverse. Il governo britannico si è servito della stessa ricerca per formulare raccomandazioni per il consumo di calcio in quantità inferiori di un terzo rispetto a quelle degli Stati Uniti.

Altri punti da considerare:

  • Nella dieta americana i prodotti caseari sono la fonte principale di grassi saturi, che ostruiscono le arterie.

  • Il latte di vacca è solo uno dei tanti alimenti che forniscono calcio. Tra gli altri, figurano legumi secchi, verdure a foglia verde, alcuni frutti e cibi fortificati come i succhi di frutta, i cereali per la prima colazione e il latte di soia.

  • Formaggi e latte sono ricchi di sodio e privi di fibre.

  • L'intolleranza al lattosio colpisce la maggior parte di neri, asiatici, ispanici e nativi americani. Si tratta di una patologia naturale che subentra dopo l'infanzia, quando l'organismo può fare a meno dell'enzima che scompone lo zucchero presente nel latte. I sintomi comprendono meteorismo, gonfiore addominale, crampi e diarrea.

  • Secondo alcuni studi, un consumo elevato di prodotti caseari può comportare un maggior rischio di tumore alle ovaie, mentre un consumo elevato di calcio può favorire il rischio di tumore alla prostata.

Il commento finale di Harvard: "Allo stato attuale, non è provato che il consumo di più di una dose di latte al giorno, nel contesto di un regime alimentare adeguato (che solitamente prevede circa 300 milligrammi di calcio al giorno derivati da prodotti non caseari) possa ridurre il rischio di fratture. La presenza di dubbi irrisolti in materia di rischio di tumore alle ovaie e alla prostata induce a sconsigliare l'assunzione di dosi maggiori di prodotti caseari."

Questo non è certo il messaggio veicolato dai media. Risulta pertanto necessario un esame approfondito delle implicazioni derivanti da un incremento nel consumo dei prodotti caseari.

Originale: Science not clear on milk, health link, "On the table", March 17, 2005

26-2-2006

Effetti di una dieta a base di vegetali (plant-based diet) e basso contenuto di grassi su peso corporeo, metabolismo e sensibilità all'insulina.

Barnard ND, Scialli AR, Turner-McGrievy G, Lanou AJ, Glass J.

OBIETTIVO: Questo studio analizza l'effetto di una dieta a base di vegetali (plant-based diet) e basso contenuto di grassi, sul peso corporeo, sul metabolismo e sulla sensibilità all'insulina, sotto attività fisica controllata, in soggetti non istituzionalizzati.

MATERIALI E METODI: in regime ambulatoriale, 64 donne in post-menopausa e sovrappeso sono state assegnate casualmente o ad una dieta vegan a basso contenuto di grassi, oppure a una dieta di controllo, basata sulle linee guida del "Programma Nazionale di Educazione sul Colesterolo (NCEP)"; nessun limite è stato posto all'apporto energetico, ed è stato chiesto loro di mantenere invariato il livello di attività fisica. Il consumo di cibo, il peso e la composizione corporei, il metabolismo energetico di base, l'effetto termogenico del cibo e la sensibilità all'insulina sono stati misurati all'inizio dello studio e dopo 14 settimane.

RISULTATI: Il peso nel gruppo di intervento (vegan) si è ridotto in media (+/- deviazione standard) di 5,8 (+/- 3,2) Kg, mentre nel gruppo di controllo di 3,8 (+/- 2,8) Kg (p= 0,012). Il gruppo dietetico (p< 0,05), l'effetto termogenico del cibo (p< 0,05) e il metabolismo basale (p< 0,05) sono risultati predittori significativi della riduzione di peso corporeo in un'analisi di regressione che includeva la dieta seguita (intervento o controllo), le variazioni dell'apporto calorico, l'effetto termogenico del cibo, il metabolismo basale e il consumo energetico. L'indice di sensibilità all'insulina è aumentato da 4,6 (+/- 2,9) a 5,7 (+/- 3,9) (p= 0,017) nel gruppo a dieta vegana, ma la differenza tra i due gruppi non è risultata significativa (p= 0,17).

CONCLUSIONE: Nonostante nessun limite sia stato posto all'assunzione di cibo in quantità e contenuto calorico desiderato, l'adozione di una dieta vegan a basso contenuto di grassi è risultata associata con una significativa perdita di peso in donne sovrappeso in post-menopausa.

COMMENTO: lo studio conferma l'utilità dell'adozione di sane abitudini alimentari nelle diete mirate alla perdita di peso. L'alta densità calorica dei cibi ricchi di grassi e poveri di acqua e fibre, e il loro scarso effetto saziante è un ben noto meccanismo all'origine dell'incremento ponderale: questo concetto è confermato in questo studio dal fatto che pur mangiando a volontà, i soggetti che seguivano una plant-based diet, cioè una dieta a base di cibi vegetali, hanno riscontrato una rilevante perdita di peso. La dieta vegana, rispetto ad una dieta basata sulle raccomandazioni del Programma Educativo Nazionale sul Colesterolo (USA), ha infatti dimostrato un significativo valore aggiunto per la perdita di peso quantificato in -5,8 Kg contro -3,8 Kg. L'aumentata sensibilità all'insulina può rivelarsi importante per la prevenzione del diabete tipo II, patologia in grande diffusione anche tra i giovani e che tra i principali fattori di rischio include la stessa obesità.

Originale: Barnard ND, Scialli AR, Turner-McGrievy G, Lanou AJ, Glass J. The effects of a low-fat, plant-based dietary intervention on body weight, metabolism, and insulin sensitivity, Am J Med. 2005 Sep;118(9):991-7.

19-2-2006

Incidenza di fratture di femore nelle donne anziane nel mondo, in relazione al consumo di cibi animali e vegetali

Frassetto LA, Todd KM, Morris RC Jr, Sebastian A.

BACKGROUND: La frattura prossimale di femore, uno dei principali problemi sanitari in età anziana, ha un'incidenza variabile nelle popolazioni dei diversi Paesi, e appare direttamente correlata all'assunzione di proteine animali, dato che suggerisce come l'integrità dell'osso possa essere compromessa dalla produzione acida endogena conseguenza del metabolismo delle proteine animali. Se così fosse, allora i cibi vegetali potrebbero controbilanciare questo effetto, essendo una ricca fonte di basi (bicarbonati), fornite dagli anioni organici metabolizzabili, in grado di neutralizzare gli acidi derivanti dalle proteine e di fornire un substrato (carbonato) per la formazione dell'osso.

METODI: Sono stati analizzati i dati sull'incidenza di fratture prossimali di femore in 33 Paesi (N=33), in donne dai 50 anni in su, e la loro relazione con i dati, corrispondenti e specifici per ogni Paese, sul consumo pro capite di cibi vegetali e cibi animali, come riportato dalla FAO degli USA.

RISULTATI: L'incidenza di fratture prossimali di femore varia in modo direttamente proporzionale all'assunzione di proteine totali (r = +.67, p < .001) e animali (r = +.82, p < .001) e in modo inversamente proporzionale all'assunzione di proteine vegetali (r = .37, p < .04). I Paesi che si collocano nel terzile inferiore (n=11) di incidenza di fratture di femore (quelli cioè in cui l'incidenza di queste fratture è la più bassa del campione) hanno i consumi più bassi di proteine animali, e invariabilmente, il consumo di proteine vegetali (VP) supera il corrispondente consumo, in ciascun Paese, di proteine animali (AP): VP/AP > 1.0 .

Al contrario, nei Paesi nei quali l'incidenza di fratture si situa nel terzile superiore (quelli cioè in cui l'incidenza di queste fratture è la più elevata del campione), il consumo di proteine animali supera quello di proteine vegetali praticamente in tutti i casi (in 10 su 11 Paesi). In tutti i Paesi, l'incidenza di fratture di femore è correlata inversamente ed esponenzialmente con il rapporto consumo di proteine vegetali/animali (r = -.84, p < .001) e incide per il 70% sulla variazione totale di incidenza di fratture. Dopo aggiustamento per l'assunzione di proteine totali, il consumo di cibi vegetali è risultato un fattore predittivo negativo (cioè protettivo) e indipendente per l'incidenza di fratture. Tutti i risultati sono risultati simili per il sottogruppo dei 23 Paesi la cui popolazione è in maggioranza caucasica.

CONCLUSIONI: Questi risultati suggeriscono che il maggior determinante del rischio di fratture prossimali di femore in relazione all'effetto acido-base della dieta è il carico netto di acido della dieta, quando vengano considerati sia il consumo di precursori acidi che quello di precursori basici. La limitazione del consumo di cibi animali e l'aumento del consumo di cibi vegetali, in rapporto al consumo di cibi animali, può esercitare un effetto protettivo.

Originale: Frassetto LA, Todd KM, Morris RC Jr, Sebastian A. Worldwide incidence of hip fracture in elderly women: relation to consumption of animal and vegetable foods, 2000 Oct;55(10):M585-92.

10-2-2006

[COMUNICATO STAMPA]
DISINFORMAZIONE E ACCANIMENTO AI DANNI DI UNA FAMIGLIA
COLPITA DA UNA TRAGEDIA: A TANTO SI ARRIVA PUR DI
CRITICARE CHI COMPIE LA SCELTA VEGETARIANA?

Il caso della morte improvvisa della bimba di 9 mesi in provincia di Bari e' stato trattato finora in maniera del tutto priva di etica e criterio: la cause della morte non si conoscono, perche' l'autopsia non e' stata ancora completata, vari fatti riportati sono semplicemente campati in aria e non rispondono a verita', eppure sedicenti "esperti" si permettono di dare giudizi basati sul nulla.

Quel che conta, dunque, non e' sapere come e perche' e' morta la bambina. Conta solo poter cogliere l'occasione per demonizzare la scelta vegetariana dei genitori, e per questo fine si sacrifica tutto: il rispetto per il dolore dei genitori, la ricerca della verita', il rispetto per la scienza e le reali conoscenze mediche nel settore.

Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana e' vicina ai genitori della bambina, colpiti da questa tragedia, e intende rassicurare tutti i genitori vegetariani e vegani. Afferma il dott. Luciano Proietti, medico pediatra: "L'alimentazione della madre e' importante, ma nei paesi sviluppati dove non e' presente una carenza di cibo, una donna strettamente vegetariana puo' allattare senza problemi il proprio figlio, con la sola attenzione ad integrare la vitamina B12".

Si ricorda che la Posizione Ufficiale sulle diete Vegetariane dell'American Dietetic Association e dei Dietitians of Canada, aggiornata al 2003, afferma che "Le diete vegane ben bilanciate ed altri tipi di diete vegetariane risultano appropriate per tutti gli stadi del ciclo vitale, ivi inclusi gravidanza, allattamento, prima e seconda infanzia ed adolescenza."

Tale documento e' basato su oltre 250 articoli della letteratura scientifica internazionale degli ultimi anni, e non su conoscenze approssimative vecchie di decenni o basate sul "buon senso comune".

"Chiediamo ai media di compiere il loro dovere di informare il pubblico con notizie precise e con cognizione di causa sui fatti riportati, e quindi di rettificare la visione di parte riportata finora, e diffondere non solo le opinioni di chi ha colto al volo l'occasione per attaccare l'alimentazione vegetariana, senza alcun rispetto per il dolore della famiglia della bambina, ma mostrare invece che la scienza ufficiale considera del tutto adeguato questo tipo di alimentazione" afferma la dottoressa Luciana Baroni, presidente di Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana.

E' importante anche portare le testimonianze delle centinaia di genitori vegetariani che in Italia fanno crescere i propri figli in piena salute con un'alimentazione a base vegetale, fornendo ai propri figli fin da subito sani schemi alimentari, validi per tutta la durata della vita, che possono offrire importanti vantaggi nutrizionali.

Ferma restando la validita' dell'alimentazione vegetariana e vegana in tutti gli stadi del ciclo vitale, Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana si riserva di esprimere un parere medico-scientifico sulla vicenda specifica soltanto quando saranno disponibili i risultati dell'autopsia e considera privo di credibilita' e serieta' chiunque esprima pareri senza avere informazioni su cui basarsi.

Questa vicenda ha assunto la connotazione di una vera e propria persecuzione ideologica nei confronti di una famiglia gia' duramente colpita, a riprova ancora una volta di come la pieta', nel sentire comune, non esista o possa comunque passare in secondo piano rispetto a tutto quanto fa scalpore.

Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana-SSNV
www.scienzavegetariana.it - info@scienzavegetariana.it

Note:
Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, SSNV, è un'associazione non-profit fondata nel 2000 e costituita da professionisti, studiosi e ricercatori in diversi settori (Nutrizione, Medicina e settori connessi, Ecologia della nutrizione ed impatto ambientale, Giurisprudenza) favorevoli alla nutrizione vegetariana, intesa in tutte le sue variani (latto-ovo-vegetariana e vegana) e competenti sui differenti aspetti delle diete a base di cibi vegetali (c.d. plant-based diets).

22-1-2006

Dieta, nutrizione e prevenzione dell'Osteoporosi.
Prentice A.

OBIETTIVO: Passare in rassegna i dati disponibili su dieta e nutrizione in relazione all'osteoporosi, e fornire raccomandazioni per prevenire l'osteoporosi e, in particolare, le fratture osteoporotiche.

APPROCCIO: In prima istanza, passare in rassegna la definizione, la diagnosi e l'epidemiologia dell'osteoporosi, al fine di discutere sulle difficoltà dipendenti dall'utilizzo della densità minerale ossea nella definizione del rischio di osteoporosi in un contesto mondiale e al fine di stabilire il concetto che le fratture dovute alla fragilità ossea dovrebbero essere considerate come la fase finale della malattia. In seconda istanza, fornire una rassegna dei dati scientifici, del peso delle evidenze e delle difficoltà concettuali nell'interpretazione degli studi che mettono in relazione la dieta e la nutrizione con l'osteoporosi. Sono stati considerati i seguenti parametri: calcio, vitamina D, fosforo, magnesio, proteine e fluoro. Sono state discusse anche altre possibili influenze nutrizionali sulla salute dell'osso, come le vitamine, gli oligoelementi, gli elettroliti, l'equilibrio acido-base, i fitoestrogeni, vegetarismo e l'intolleranza al lattosio.

CONCLUSIONI: Non esistono sufficienti evidenze che mettano in relazione lo stato minerale dell'osso, il tasso di crescita o il turnover dell'osso di bambini e adolescenti ai successivi benefici a lungo termine in età anziana, e quindi non è possibile utilizzare questi indici come marker per la valutazione del rischio di fratture osteoporotiche.

Negli adulti, l'evidenza di una relazione tra l'assunzione di vari componenti della dieta e il rischio di fratture non è sufficientemente sicuro per permettere di formulare rigide raccomandazioni, con l'eccezione del calcio e della vitamina D. Per gli altri aspetti della dieta, un sempre crescente numero di studi suggerisce che le attuali raccomandazioni del mangiare sano, che includono la riduzione delle assunzioni sodio, l'aumento delle assunzioni di potassio e del consumo di frutta fresca e verdura non siano dannosi per la salute dell'osso e possano per contro esercitare un effetto protettivo.

Originale: Prentice A. Diet, nutrition and the prevention of osteoporosis., 2004 Feb;7(1A):227-43.

14-1-2006

Stato della taurina e della cobalamina in gatti nutriti con una dieta vegetariana
L.A. Wakefield, K.E. Michel

I gatti sono carnivori obbligati e richiedono nutrienti essenziali che si trovano solamente nei tessuti animali. Ciononostante, alcune persone scelgono di nutrire i propri animali domestici con una dieta vegetariana.

Lo scopo di questo studio è quello di analizzare lo stato nutrizionale di gatti nutriti con gli alimenti vegetariani in commercio, che hanno una formulazione atta a soddisfare le esigenze nutrizionali dei felini. Un gruppo di proprietari di gatti, che avevano nutrito per almeno un anno propri animali con una dieta vegetariana, è stato reclutato su scala nazionale, attraverso il sito web dello studio e ad una conferenza sul benessere degli animali. I criteri di inclusione per questa parte dello studio includevano l'utilizzo di cibi vegetariani presenti sul mercato. I gatti nutriti con diete vegetariane casalinghe sono stati esclusi. E' stato inoltre ottenuto il consenso al prelievo di sangue venoso dal gatto.

Sangue e plasma sono stati sottoposti all'analisi di laboratorio degli aminoacidi, presso la UC Davis, per determinare le concentrazioni di taurina nel sangue intero e nel plasma. Il siero è stato invece analizzato nel laboratorio gastrointestinale dell'Università del Texas A&M, per determinare le concentrazioni di cobalamina. E' stata condotta un'intervista telefonica con ciascun proprietario, per acquisire informazioni sulle pratiche adottate per nutrire gli animali. I dati sono stati confrontati con gli intervalli di riferimento fissati dai rispettivi laboratori. Il sangue è stato prelevato da 16 gatti (le analisi sulla taurina sono ancora in corso per un gatto). In due casi il plasma non è stato sottoposto ad analisi, quindi i risultati di laboratorio sulle concentrazioni di taurina nel plasma sono disponibili solo per 13 dei 16 gatti.

La concentrazione media di taurina nel plasma è risultata 123 +/-42 nmol/ml (mediana 125 nmol/ml; intervallo 52-188 nmol/ml, intervallo di normalità 60-120 nmpl/ml). Solo un campione è risultato al di sotto dell'intervallo normale di riferimento, e nessuno si è collocato al si sotto del valore critico di 40 nmol/ml. La concentrazione media di taurina nel sangue intero è risultata 382+/-121 nmol/ml (mediana 346 nmol/ml, intervallo 224-672 nmol/ml, intervallo di normalità 300-600 nmol/ml). Tre gatti sono risultati al di sotto del valore inferiore di normalità, ma sopra il livello critico di 200 nmol/ml. La cobalamina sierica, per tutti i gatti, rientrava nell'intervallo normale di riferimento (media: 883+/- 334 ng/l, mediana 1014 ng/l, intervallo 299-1201 ng/l, intervallo di normalità 290-1499 ng/l.

I gatti di questo studio hanno mostrato di avere un'assunzione di cobalamina sufficiente a mantenere normali livelli sierici di questa vitamina. I livelli di taurina nel sangue intero, un indicatore più attendibile dello stato della taurina rispetto a quelli plasmatici, sono risultati normali per la maggioranza dei gatti testati. Comunque, tre gatti presentavano livelli ematici di taurina compresi tra l'intervallo inferiore di normalità e il valore critico, a dimostrazione che la loro assunzione di taurina con la dieta era ai limiti della sufficienza.

Originale: L.A. Wakefield, K.E. Michel Taurine and cobalamin status of cats fed vegetarian diets., J Anim Physiol Anim Nutr (Berl). 2005 Dec;89(11-12):427-8.

8-1-2006

Assunzione dietetica di derivati del latte tra liceali e acne adolescenziale

Adebamowo CA, Spiegelman D, Danby FW, Frazier AL, Willett WC, Holmes MD.
Department of Nutrition, Harvard School of Public Health, Boston,
Massachusetts 02115, USA. clement.adebamowo@channing.harvard.edu

BACKGROUND: Precedenti studi suggeriscono la presenza di una possibile associazione tra dieta occidentale e acne. In questo studio retrospettico abbiamo utilizzato dati derivati dal Nurses Health Study II per valutare se l'assunzione di latte e derivati durante la scuola superiore fosse associato con l'acne adolescenziale, diagnosticata in ambito medico.

METODI: Lo studio ha valutato 47.355 donne che avevano compilato un questionario sulla dieta durante le scuole superiori nel 1998, e un questionario sulla presenza di una forma severa di acne adolescenziale, diagnosticata in ambito medico, nel 1989. Sono stati stimati i rapporti di prevalenza e gli intervalli di confidenza al 95% per la presenza di acne tra le differenti categorie di assunzione.

RISULTATI: Dopo aggiustamento per età, età al menarca, indice di massa corporea e introito energetico, il rapporto di prevalenza dell'acne nell'analisi multivariata (95% di intervallo di confidenza; valore di P nel test di significatività), nel confronto categorie estreme di introito, è di 1.22 (1.03, 1.44; 0.002) tutti i tipi di latte; 1.12 (1.00, 1.25; 0.56) per il latte intero; 1.16 (1.01, 1.34; 0.25) per il latte parzialmente scremato; e 1.44 (1.21, 1.72; 0.003) per il latte scremato. Anche il consumo di bevande istantanee per la colazione, sorbetti, formaggio a fiocchi e formaggio cremoso è positivamente associato all'acne.

CONCLUSIONE: Questo studio ha trovato un'associazione positiva tra acne e assunzione di latte di tutti i tipi e di latte scremato. Possiamo ipotizzare che questa associazione possa essere ricondotta alla presenza nel latte stesso di ormoni e di molecole bioattive.

Originale: Adebamowo CA, Spiegelman D, Danby FW, Frazier AL, Willett WC, Holmes MD. Assunzione dietetica di derivati del latte tra liceali e acne adolescenziale, J Am Acad Dermatol. 2005 Feb;52(2):207-14.

11-12-2005

Attitudine dei consumatori ad adottare una dieta a base di cibi vegetali (plant-based diet).

Lea EJ, Crawford D, Worsley A.
Centre for Physical Activity and Nutrition Research, School of Exercise and Nutrition Sciences, Deakin University, Burwood, Victoria, Australia.


OBIETTIVO: lo scopo di questo studio è quello di esaminare l'attuale disponibilità dei consumatori a passare a una plant-based diet.

DISEGNO: si tratta di un'indagine condotta per via postale, che comprende domande sulla disponibilità a cambiare, sulle abitudini alimentari e sui benefici ed ostacoli percepiti nei confronti del un consumo di una dieta a base di cibi vegetali.

SETTING: Victoria, Australia.

SOGGETTI: Un totale di 415 adulti selezionati a caso.

RISULTATI: Considerando la disponibilità ad adottare una plant-based diet, la maggioranza dei soggetti (58%) si trovava nella prima fase della transizione, denominata "precontemplativa", mentre il 14% era in fase di "considerazione/preparazione" e il 28% in fase di "attuazione/mantenimento". Quest'ultimo gruppo assumeva già più frutta, verdura, frutta secca e semi, pane integrale e cereali cotti rispetto ai soggetti degli stadi precedenti di transizione. Sono state osservate differenze statisticamente significative nell'età e nello stato di vegetariano tra le differenti fasi, mentre nessuna differenza è stata osservata per le altre variabili demografiche.
Erano presenti forti differenze tra i diversi stadi della transizione nei confronti della percezione di benefici e ostacoli di una plant-based diet. Per esempio, i soggetti in fase di "attuazione/mantenimento" avevano punteggi più elevati sulla percezione dei fattori positivi associati a benessere, peso corporeo, salute, aspetti pratici ed economici, mentre i soggetti in fase "precontemplativa" non erano in grado di percepire questi vantaggi.

CONCLUSIONI: Questi risultati possono essere utilizzati per aiutare a fornire appropriati consigli e informazioni sulla Nutrizione, mirati per le differenti fasi della transizione verso una plant-based diet. Per esempio, educare su come sia possibile ottenere ferro e proteine a partire da fonti vegetali e su quali siano i vantaggi di questo cambiamento, oltre a fornire suggerimenti su come attuare una transizione semplice e graduale verso una plant-based diet, può in grado di far progredire i soggetti in fase "precontemplativa" verso gli stadi successivi della transizione.

Sponsorship: Australian Research Council. European Journal of Clinical Nutrition advance online publication, 9 November 2005; doi:10.1038/sj.ejcn.1602320.

Originale: Lea EJ, Crawford D, Worsley A. Consumers' readiness to eat a plant-based diet., Eur J Clin Nutr. 2005 Nov 9

19-9-2005

Nutrienti essenziali: cibo o integratori? Cosa valorizzare?

Lichtenstein AH, Russell RM.
Jean Mayer USDA Human Nutrition Research Center on Aging, Tufts University, Boston, MA 02111, USA. alice.lichtenstein@tufts.edu

Il consumo di adeguati livelli e il giusto equilibrio dei nutrienti essenziali risultano critici per il mantenimento della salute. L'identificazione, isolamento, e purificazione dei nutrienti all'inizio del ventesimo secolo ha fatto intravedere la possibilità di ottenere ottime ripercussioni sulla salute attraverso l'integrazione alimentare.

Tentativi recenti di utilizzare questo tipo di approccio per le malattie cardiovascolari e per il tumore del polmone sono stati deludenti, come accaduto per la vitamina E ed il beta-carotene. Inoltre, durante studi clinici di supplementazione sono emersi rischi in precedenza ignoti, riconducibili alla tossicità dei nutrienti e alle loro interazioni reciproche. I dati più promettenti nel campo della nutrizione e degli effetti favorevoli sulla salute sono connessi con stili dietetici, non con l'integrazione di nutrienti. Questi dati suggeriscono che altri fattori presenti nei cibi, oppure la presenza relativa di alcuni cibi e l'assenza relativa di altri cibi siano più importanti dei livelli dei singoli nutrienti assunti.

Infine, non sono note le ripercussioni sulla salute pubblica dipendenti dal valorizzare l'importanza degli integratori a scapito del cibo. Nonostante la validità di raccomandazioni mirate a certe fasce della popolazione (ad esempio gli anziani) sull'utilità degli integratori, non esistono prove sufficienti per giustificare una modificazione delle policy di salute pubblica, che tenda a valorizzare il ruolo degli integratori alimentari a scapito del cibo e della dieta.

Commento:
Il succo di questo articolo è facilmente riassumibile e da tutti comprensibile: e' meglio assumere i nutrienti essenziali con la dieta piuttosto che con integratori alimentari (i famosi quick fix, come gli americani definiscono questa concezione del "rimedio"). Da questo studio, pubblicato in luglio sulla prestigiosa rivista JAMA, appare chiaro come si ottengano maggiori benefici con regimi alimentari appropriati che non con l'utilizzo di integratori alimentari.

Lo studio prende in esame precedenti studi clinici condotti sugli integratori alimentari, in rapporto ai loro reali effetti sulla salute. Bene, da molti studi emerge come queste sostanze non siano efficaci nella prevenzione o nel trattamento di alcune patologie: è il caso della vitamina E per malattie cardiovascolari e del beta-carotene per il tumore del polmone. Inoltre, l'utilizzo di integratori non è privo di rischi, legati alla tossicità e alla imprevedibilità dell'effetto di dosi elevate sulle funzioni dell'organismo: un eccesso di vitamina E può favorire la comparsa di malattie autoimmuni, così come dosi troppo elevate di acido folico potrebbero causare demenza. La supplementazione con beta-carotene per la prevenzione del cancro del polmone ha comportato paradossalmente un aumento dell'incidenza di tumori.

Inoltre, l'assunzione smodata di alcuni nutrienti inibirebbe l'assorbimento di altri elementi. Questo perché l'organismo si comporterebbe con i nutrienti in modo differente a seconda che provengano da integratori o dai cibi che naturalmente li contengono, perché probabilmente gli alimenti sono in grado di modulare l'assorbimento dei nutrienti. Gli effetti, le interazioni reciproche e il fabbisogno dei diversi nutrienti non sono ancora del tutto compresi, perciò non è assolutamente giustificato spingere la popolazione verso il consumo di nutrienti ricavati da pillole, anziché incoraggiare l'assunzione di cibi ricchi di nutrienti salutari quali frutta fresca e secca, verdura, cereali integrali e legumi. Questo tipo di dieta, oltre che ricca di micronutrienti di vario tipo, permette di ridurre l'assunzione di sostanze dannose quali grassi, specialmente grassi saturi, presenti nei cibi la cui assunzione verrebbe ridotta privilegiando i cibi vegetali.

Il mantenimento di un buono stato di salute non appare di fatto strettamente dipendente dall'azione di nutrienti benefici, ma dall'effetto della combinazione dei cibi assunti. Secondo il professor Carlo La Vecchia, epidemiologo presso l'Istituto di Statistica Medica e Biometria dell'Università di Milano, "allo stato attuale delle conoscenze, l'assunzione di integratori dietetici non ha nessuna indicazione nei soggetti adulti sani ed è anzi da sconsigliare, perché è inutile se non dannosa. Per contro, è necessario enfatizzare il ruolo cruciale di un'alimentazione sana ed equilibrata nel mantenimento di una buona salute e nella prevenzione di molte malattie, tenendo sempre presente che una buona dieta non si può sostituire con una buona pillola".

La dieta che ha dimostrato di possedere le caratteristiche ottimali per il mantenimento della salute attraverso la prevenzione delle principali malattie croniche (arteriosclerosi, cancro, obesità-sovrappeso, diabete, ipertensione e osteoporosi) è quella che si basa sull'assunzione di larghe quantità di cibi vegetali (cd plant-based diet), consumati il più possibile vicino al loro stato naturale e senza l'aggiunta di grassi, zuccheri e sale, in modo variato e in quantità tale da soddisfare le richieste caloriche dell'organismo.

Originale: Lichtenstein AH, Russell RM Essential nutrients: food or supplements? Where should the emphasis be?, JAMA. 2005 Jul 20;294(3):351-8.

10-7-2005

L'eliminazione del latte dalla dieta è associata con un ridotto rischio di insulino-resistenza e di sindrome metabolica: risultati del British Women's Heart and Health Study.

Lawlor DA, Ebrahim S, Timpson N, Davey Smith G.
Department of Social Medicine, University of Bristol, Canynge Hall, Bristol, UK. d.a.lawlor@bristol.ac.uk

OBBIETTIVI: Valutare l'associazione del consumo di latte con l'insulino-resistenza e la sindrome metabolica.

METODI: Questa associazione è stata esaminata in 4024 donne britanniche di età compresa tra 60-79 anni, selezionate a caso da centri di cura primaria in 23 città.

RISULTATI: Le donne che non avevano mai bevuto latte presentavano punteggi più bassi al homeostasis model assessment insulin resistance (HOMA), ridotte concentazioni plasmatiche di trigliceridi, un più basso BMI (indice di massa corporea), più elevati livelli di colesterolo-HDL rispetto alle donne che bevevano latte. L' odd-ratio per la sindrome metabolica aggiustato per età, del confronto di chi non beveva latte con chi ne beveva, è risultato 0.55 (0.33, 0.94), e non si attenuava dopo aggiustamento per fattori potenzialmente confondenti. Il diabete è risultato meno comune in chi non beveva latte.

CONCLUSIONI: Gli individui che non bevono latte possono essere protetti nei confronti dell'insulino-resistenza e della sindrome metabolica. Comunque, sono necessari studi clinici randomizzati per stabilire se l'eliminazione del latte sia causalmente associata a questi effetti.

Commento:
Questo nuovo studio, apparso su una prestigiosa rivista di malattie metaboliche, mette in rapporto il consumo di latte con l'insulino resistenza e la sindrome metabolica. La sindrome metabolica è quell'entità clinica, che include il diabete (o pre-diabete) in associazione con obesità, ipertensione, dislipidemia (ipertrigliceridemia, bassi livelli di HDL-colesterolo) e spesso è associata con la malattia coronarica. In questo studio, le donne che non bevevano latte presentavano un rischio di sviluppare la sindrome metabolica di circa la metà rispetto alle donne che bevevano latte.

I ricercatori concludono dunque che gli individui che non bevono latte possono risultare protetti nei confronti dell'insulino-resistenza e della sindrome metabolica, ma precisano che sono necessari ulteriori studi per confermare un eventuale rapporto causa-effetto.

Originale: Lawlor DA, Ebrahim S, Timpson N, Davey Smith G. Avoiding milk is associated with a reduced risk of insulin resistance and the metabolic syndrome: findings from the British Women's Heart and Health Study., Diabet Med. 2005 Jun;22(6):808-11.

2-7-2005

Verdura cotta e cruda, frutta, principali micronutrienti e rischio di cancro della mammella: uno studio caso-controllo in Germania.

Adzersen KH, Jess P, Freivogel KW, Gerhard I, Bastert G.
Department of Gynecological Endocrinology and Reproductive Medicine, Women's Hospital, University of Heidelberg, Germany. karl-heinrich_adzersen@med.uni-heidelberg.de

Nel periodo 1998-2000 è stato condotto uno studio caso-controllo sul cancro della mammella in Heidelberg, Germania. Sono stati arruolati 310 casi consecutivi di cancro primitivo della mammella, e confrontati per gruppi d'età (decadi) a 353 controlli affetti da patologie non collegate a dieta o malattie endocrine. L'assunzione di verdura cruda, verdura totale, e cereali integrali è risultata inversamente associata con il rischio di cancro della mammella (odd ratio [OR] aggiustato tra il quartile superiore e quello inferiore di 0.51, con intervallo di confidenza 95% [CI] = 0.31-0.84; OR = 0.62, 95% CI = 0.38-1.02; e OR = 0.57, 95% CI = 0.34-0.95, rispettivamente).

Ancora, elevate assunzioni di alcune vitamine e di alcuni minerali dotati di possibili proprietà stabilizzanti il DNA hanno dimostrato di essere associate inversamente con il rischio. Gli OR aggiustati sono risultati essere: per la vitamina C, OR = 0.49, 95% CI = 0.2-0.88; per i folati equivalenti, OR = 0.47, 95% CI = 0.25-0.88; per il beta-carotene, OR = 0.46, 95% CI = 0.27-0.80; per lo zinco, OR = 0.35, 95% CI = 0.15-0.78; e per il rame, OR = 0.51, 95% CI = 0.31-1.03.

In contrasto, non è stata riscontrata alcuna associazione significativa per aumentate assunzioni di frutta, verdura cotta, fibre, calcio, manganese, o ferro. In questa popolazione di donne tedesche, i componenti della verdura cruda ed alcuni micronutrienti sembrano in grado di ridurre il rischio di cancro.

Commento:
Questo studio dimostra come l'introduzione di quantità relativamente piccol di verdura cuda nel contesto di una dieta tradizionale ridurrebbe in modo signoficativo il richio di cancro, a differenza di quanto avverrebbe con la verdura cotta. I ricercatori attribuiscono questo effetto alla presenza di sostanze fitochimiche, che sarebbero danneggiate dal calore.

Originale: Adzersen KH, Jess P, Freivogel KW, Gerhard I, Bastert G. Raw and cooked vegetables, fruits, selected micronutrients, and breast cancer risk: a case-control study in Germany., Nutr Cancer. 2003;46(2):131-7.

11-6-2005

Effetti a lungo termine delle formulazioni per l'infanzia a base di soia sulle concentrazioni plasmatiche e urinarie di isoflavoni, e sulla crescita e sviluppo di bambini a 10 e 20 mesi.

Ryowon C, Lee JY, Lee HO, Chung SJ, Cho MR, Kim JY, Lee IH.
Department of Medical Nutrition, Kyung Hee University, Korea.

Background: Le formulazioni per l'infanzia a base di soia sono largamente utilizzate per l'alimentazione di bambini con allergia al latte vaccino. La soia contiene delle sostanze fitochimiche, gli isoflavoni, che posseggono un'attività metabolica. La sicurezza e gli effetti a lungo termine degli isoflavoni contenuti nelle formulazioni a base di soia sono stati recentemente messi in discussione.

Obbiettivo: Abbiamo valutato l'effetto delle formulazioni a base di soia sulle concentrazioni plasmatiche e urinarie di isoflavoni, e sulla crescita e lo sviluppo di bambini a 10 e 20 mesi. Disegno: successivamente ad uno studio precedentemente condotto su bambini e durato 4 mesi, 33 bambini sani sono stati inclusi in questo studio di follow-up e seguiti nel tempo. I gruppi sperimentali erano i seguenti: bambini allattati al seno (n=7, BM), bambini allattati al seno per 4 mesi e poi allattati con formulazioni a base di soia (n=6, BM+SBF), bambini allattati dalla nascita con formulazioni a base di soia (n=9, SBF), e bambini allattati con formulazioni a base di latte vaccino (n=8, CBF). Su questi 4 gruppi sono state eseguite valutazioni dietetiche e antropometriche, e test di sviluppo neurologico (motilità, linguaggio, cognitività).

Risultati: I dati relativi a peso, altezza e circonferenza del capo e del torace a 10 e 20 mesi d'età sono risultati essere tutti entro gli intervalli di normalità per la popolazione infantile della Corea. Non è stata rilevata alcuna differenza significativa nell'assunzione giornaliera di nutrienti e nello sviluppo psicofisico tra i 4 gruppi. Le concentrazioni plasmatiche di daidzeina and genisteina (fitoestrogeni, NdT) a 10 mesi (107.8 +/- 3.5, 112.8 +/- 3.7 e 137.0 +/- 8.7, 143.3 +/- 9.1ng/ml) e a 20 mesi (27.1 +/- 6.2, 28.3 +/- 6.5 and 32.7 +/- 1.4, 34.2 +/- 1.4ng/ml) dei gruppi BM + SBF (allattati al seno per 4 mesi e poi allattati con formulazioni a base di soia ) e SBF (allattati dalla nascita con formulazioni a base di soia) sono risultate significativamente più elevate di quelle degli altri 2 gruppi sperimentali (p<0.05). Anche le concentrazioni urinarie di daidzeina and genisteina a 10 mesi (9.82 +/- 3.3, 9.34 +/- 3.1 e 11.01 +/- 2.5, 10.53 +/- 2.4 mcg/ml) e a 20 mesi (4.88 +/- 1.8, 4.67 +/- 1.7 e 9.49 +/- 2.6, 9.08 +/- 2.5 mcg/ml) sono risultate significativamente superiori negli stessi 2 gruppi (BM+SBF e SBF) di quelle degli altri 2 gruppi sperimentali (p<0.05).

Conclusioni: Questi dati suggeriscono che le formulazioni per l'infanzia a base di soia possono essere utilizzate per l'alimentazione a lungo termine.

Commento:
Questo studio evidenza che, nonostante i prevedibili livelli più elevati di fitoestrogeni nel sangue e nelle urine di lattanti nutriti con formulazioni a base di soia, non sono presenti differenze nello sviluppo fisico e mentale di questi bambini. Sappiamo poi dalla letteratura medico-scientifica internazionale come sia assolutamente possibile crescere sani bimbi vegani sin dalla nascita. Si consiglia di consultare per approfondimenti i seguenti articoli:

Originale: Originale: Ryowon C, Lee JY, Lee HO, Chung SJ, Cho MR, Kim JY, Lee IH. The long term effects of soy-based formula on isoflavone concentration of plasma and urine, and growth and recognition development at 10 and 20 months old infants. , Asia Pac J Clin Nutr. 2004;13(Suppl):S123.

16-4-2005

Variabili dello stile di vita e sviluppo della massa ossea e della resistenza ossea in giovani donne

Lloyd T, Petit MA, Lin HM, Beck TJ.
Department of Health Evaluation Sciences, Penn State University College of Medicine, Hershey, Pennsylvania 17033, USA. tal3@psu.edu

OBBIETTIVI: Valutare il contributo nel corso dell'adolescenza dell'assunzione di calcio, dell'uso di contraccettivi orali e dell'esercizio fisico sulla massa e sulla resistenza ossea.

DISEGNO: 80 donne di razza bianca, partecipanti per 10 anni al Penn State Young Women's Health Study, uno studio longitudinale sui componenti di una comunità. Sono state misurate la massa minerale ossea (g), la densità ossea (BMD, g/cm(2)), la composizione corporea attraverso la metodica DEXA (dual energy x-ray absorptiometry) e la stima della resistenza della sezione prossimale del femore. L'assunzione di calcio è stata determinata per 45 giorni attraverso un diario alimentare prospettico, a intervalli regolari tra le età di 12 e 22 anni. Anche i dati relativi alla pratica di esercizio fisico e all'utilizzo di contraccettivi orali sono stati raccolti attraverso questionari.

RISULTATI: Gli introiti giornalieri di calcio, tra le età di 12 e 22 anni, variavano tra i 500 e i 1900 mg/dì, e non erano significativamente associati all'aumento dell'osso e alla sua resistenza. L'uso di contraccettivi orali durante l'adolescenza non era pure correlato con i parametri relativi all'osso o alla composizione corporea. La BMD (densità ossea) del collo femorale non variava tra i 17 e i 22 anni, mentre il parametro di resistenza aumentava del 3% (P <0.05). Solamente l'attività fisica, durante l'adolescenza, è risultata associata in modo significativo con l'aumento della massa e della resistenza ossea.

CONCLUSIONI: Diversi aspetti dello stile di vita durante l'adolescenza possono influenzare la resistenza dell'osso adulto. I nostri dati suggeriscono che sia l'esercizio fisico la variabile dello stile di vita che ha maggiormente influenzato i parametri di resistenza dell'osso in questa coorte.

Commento:
questo studio si aggiunge ai numerosi altri studi (vedi anche Kanis 2004, recentemente pubblicato in questa sezione), che non confermano il ruolo preminente del calcio alimentare per la salute dell'osso. Un'ulteriore prova a supporto di come la spinta verso un elevato consumo di latte e derivati sembri dettata più dagli interessi economici dell'industria del latte che da motivazioni legate alla salute.

Originale: Originale: Lloyd T, Petit MA, Lin HM, Beck TJ. Lifestyle factors and the development of bone mass and bone strength in young women, J Pediatr. 2004 Jun;144(6):776-82.

9-4-2005

Regolazione della pressione arteriosa e diete vegetariane.

Berkow SE, Barnard ND.
Physician's Committee for Responsible Medicine, 5100 Wisconsin Ave., Suite 400, Washington, DC 20016, USA.

L'ipertensione affligge circa 50 milioni di individui negli USA e circa 1 miliardo nel mondo. Sebbene l'ereditarietà giochi un ruolo nella variabilità della pressione arteriosa, la dieta e lo stile di vita esercitano una rilevante influenza sulla regolazione della pressione arteriosa. In questa pubblicazione vengono passate in rassegna le evidenze sulla relazione tra dieta vegetariana e regolazione della pressione arteriosa, e vengono presentati dati riguardo ai presunti meccanismi d'azione.

Commento:
Da questo lavoro del PCRM, di recentissima pubblicazione sul Nutritional Reviews, emerge come le diete vegetariane siano in grado di ridurre in modo significativo i valori di pressione arteriosa. Da molti studi clinici è risultato che l'ipertensione è una malattia significativamente meno comune tra i vegetariani, e successivi trial clinici sono stati in grado di dimostrare che questo tipo di diete sono in grado di ridurre i valori di pressione arteriosa sia in soggetti normotesi che in soggetti ipertesi. Tra i principali meccanismi ritenuti presumibilmente responsabili di questo effetto, rientrerebbero la capacità di questo tipo di diete di ridurre la viscosità ematica, il loro elevato contenuto in potassio, e l'effetto positivo sul peso corporeo.

Originale: Berkow SE, Barnard ND Blood pressure regulation and vegetarian diets., Nutr Rev. 2005 Jan;63(1):1-8.

2-4-2005

Assunzione di frutta e verdura e rischio per le principali malattie croniche.

Hung HC, Joshipura KJ, Jiang R, Hu FB, Hunter D, Smith-Warner SA, Colditz GA, Rosner B, Spiegelman D, Willett WC.
Dipartmento di Epidemiologia, Harvard School of Public Health, Boston, MA 02115, USA

Alla pubblicazione di questo articolo ha fatto seguito la solita semplicistica conclusione che "Frutta e verdura non aiutano contro il cancro" diffusa dalla Reuters (02.11.04) e ripresa anche dai mass media del nostro Paese. Diamo qui voce al commento del dr. Greger (www.DrGreger.org): "Frutta e la verdura non sono tutte uguali".

Un grosso studio condotto ad Harvard su oltre 100.000 persone ha recentemente trovato che il consumo di frutta e verdura non sembra ridurre in modo drammatico il rischio di malattie croniche, portando a titoli da prima pagina fuorvianti del tipo "frutta e verdura non aiutano contro il cancro". Questi risultati possono in realtà non essere così sorprendenti per coloro che hanno frequentato le mie conferenze sulla prevenzione del cancro, nel corso delle quali sottolineavo che le verdure preferite dagli Americani sono le patate fritte e la lattuga.

Quando i ricercatori hanno analizzato più attentamente i dati hanno in realtà trovato che coloro i quali mangiavano il massimo dei cibi sani (verdura a foglia verde) sperimentavano una significativa protezione nei confronti delle malattie croniche, anche se questa protezione sembrava essere modesta. Forse perché l'assunzione di questi cibi era pure modesta. Degli oltre 100.000 uomini e donne studiati, coloro che mangiavano la verdura a foglia verde ne mangiavano solo una porzione e mezza al giorno- circa 4 foglie esterne di lattuga romana. E così i ricercatori hanno confrontato questo gruppo con quelli che assumevano l'equivalente di solo mezza foglia al giorno. Con una gamma di assunzioni così ristretta non meraviglia che non sia stata rilevata una grossa differenza nei tassi di malattia. Qui il "China Study" del dr. Campbell risulta illuminate.

L'evidenza che proviene dal più grosso studio sui rapporti tra dieta e cancro nella storia dell'uomo, lo studio EPIC, che sta attualmente seguendo mezzo milione di persone in 10 Paesi, dimostra che in realtà elevati consumi di frutta e verdura sono correlati ad una ridotta mortalità per cancro. Il Dipartimento dell'Agricoltura USA ha recentemente elevato a nove il numero minimo di porzioni di frutta e verdura da consumare tutti i giorni, che le raccomandazioni Federali ufficiali avevano fissato a cinque. Nove al giorno. Non stavate comportandovi bene finora? Bene, ora dovete realmente mettervi al passo! Accertatevi di ricavare il massimo dei vantaggia queste raccomandazioni includendo i cibi più vantaggiosi del regno di frutta e verdura, i frutti di bosco e la verdura a foglia verde.

Leggi l'abstract in italiano.

Originale: Hung HC, Joshipura KJ, Jiang R, Hu FB, Hunter D, Smith-Warner SA, Colditz GA, Rosner B, Spiegelman D, Willett WC. Fruit and vegetable intake and risk of major chronic disease., J Natl Cancer Inst. 2004 Nov 3;96(21):1577-84.

26-3-2005

Diete vegetariane: quali vantaggi?

Leitzmann C.
Instituto di Scienze Nutrizionali, Università di Giessen, Giessen, Germania

Una crescente quantità di evidenze scientifiche indica che le diete vegetariane salutari offrono differenti vantaggi in confronto alle diete che contengono carni o altri cibi di origine animale. Questi benefici derivano da ridotte assunzioni di grassi saturi, colesterolo e proteine animali e da più elevate assunzioni di carboidrati complessi, fibre, magnesio, acido folico, vitamina C ed E, carotenoidi e altre sostanze fitochimiche. Dal momento che i vegetariani consumano diete a composizione molto variabile, è necessario differenziare tra i vari tipi di dieta vegetariana.

Infatti, molte contraddizioni e malintesi riguardo il vegetarismo derivano proprio da dati provenienti da studi scientifici che non tengono conto di queste distinzioni. Nel passato, le diete vegetariane sono state descritte come carenti in parecchi nutrienti, compresi proteine, ferro, zinco, calcio, vitamina B12, vitamina A, acidi grassi omega-3 e iodio. Numerosi studi hanno dimostrato che le carenze rilevate dipendevano solitamente da una inadeguata pianificazione dei pasti. Le diete vegetariane ben bilanciate sono appropriate per tutti gli stadi del ciclo vitale, inclusi infanzia, adolescenza, gravidanza e allattamento, età anziana e atleti agonisti. Nella maggioranza dei casi, le diete vegetariane risultano vantaggiose nella prevenzione e nel trattamento di alcune malattie, come le malattie cardiovascolari, l'ipertensione, il diabete, il cancro, l'osteoporosi, le malattie renali e la demenza, come pure la malattia diverticolare del colon, la calcolosi della colecisti e l'artrite reumatoide.

Le motivazioni che portano alla scelta di una dieta vegetariana speso travalicano la salute e il benessere, e includono, tra le altre, motivazioni economiche, ecologiche e sociali. L'influenza di questi aspetti delle diete vegetariane sono materia di un nuovo settore della Nutrizione, l'Ecologia Nutrizionale, che si occupa di stili di vita sostenibili e dello sviluppo dell'uomo.

Originale: Leitzmann C. Vegetarian diets: what are the advantages?, Forum Nutr. 2005;(57):147-56.

6-3-2005

Legumi: Il più importante predittore dietetico di sopravvivenza negli anziani appartenenti a differenti etnie.

Blackberry I, Kouris-Blazos A, Wahlqvist ML, Steen B, Lukito W, Horie Y.
Public Health Division, National Ageing Research Institute, Melbourne, Australia

Questo studio, condotto su anziani appartenenti a differenti gruppi etnici, dimostra come l'assunzione di legumi risulti essere una variabile correlata alla longevità, riducendo il rischio di morte del 7-8% ogni 20 grammi di legumi assunti in più al giorno. Se a una prima idea si può pensare che questo dato possa essere il risultato dell'assenza di fonti proteiche animali nella dieta, in realtà altri autori (Fraser G, American Journal of Epidemiology, 148(8):761-74, 1998) avevano già dimostrato che i legumi sarebbero in grado di proteggere anche i carnivori dal rischio di tumore del colon. I legumi sono inoltre ricchi di fibre solubili, che sono in grado di ridurre il rischio di cardiopatia, e quindi questo effetto sembra imputabile ai legumi in sé.

Leggi l'abstract in italiano.
Originale: Blackberry I, Kouris-Blazos A, Wahlqvist ML, Steen B, Lukito W, Horie Y. Legumes: the most important dietary predictor of survival in older people of different ethnicities, Asia Pac J Clin Nutr. 2004;13(Suppl):S126.

26-2-2005

Giovedi' 24-2-2005 in prima pagina sul Corriere della sera, nei telegiornali, alla radio, la grande rivelazione: uno studio di popolazione afferma che per i bambini la carne e i derivati animali sono indispensabili!

Riportiamo qui un comunicato stampa di Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana, che illustra come questo tanto celebrato studio sia una frode scientifica oltre a essere stato finanziato... da associazioni di allevatori!

Inoltre hanno tenuto di proposito per 2 anni dei bambini in stato di malnutrizione, per effettuare questo studio, un comportamento assolutamente condannabile.

Alla pagina di approfondimento trovate: l'articolo originale di BBC News, l'articolo del Corriere della Sera, il comunicato stampa di SSNV, Commenti di vari studiosi di tutto il mondo.

30-1-2005

Consumo di carne e rischio di cancro del colon-retto

Ann Chao, PhD; Michael J. Thun, MD, MS; Cari J. Connell, MPH; Marjorie L. McCullough, ScD; Eric J. Jacobs, PhD; W. Dana Flanders, MD, ScD; Carmen Rodriguez, MD, MPH; Rashmi Sinha, PhD; Eugenia E. Calle, PhD
Società dei Tumori Americana, Epidemiologia e Sorveglianza, Atlanta, Ga 30329-4251, USA.

L'ennesima conferma che la carne fa male, nonostante si cerchi ancora di diffondere dati confondenti sul tema, viene da questo bellissimo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'American Cancer Society, guidati da Ann Chao e da Michel J. Thun. Gli oncologi hanno seguito per oltre vent'anni (dal 1982 a oggi) 148.610 persone che hanno registrato su un questionario le abitudini alimentari, l'esercizio fisico, altre caratteristiche del loro stile di vita e i problemi di salute. Ben 1.667 casi di tumore colon-rettale sono stati rilevati al controllo condotto nel 2001 fra le persone che partecipavano allo studio. Tra i forti mangiatori di carne rossa (manzo, vitello, maiale, cavallo, eccetera) la probabilità di sviluppare il cancro del colon-retto è risultata superiore del 50 per cento rispetto alle persone che si sono nutrite in misura più moderata con questo alimento.

Leggi l'abstract in italiano.
Originale: Chao A, Thun MJ, Connell CJ, McCullough ML, Jacobs EJ, Flanders WD, Rodriguez C, Sinha R, Calle EE. Meat consumption and risk of colorectal cancer, JAMA. 2005 Jan 12;293(2):172-82

24-1-2005

Una metanalisi su consumo di latte e rischio di fratture: bassa utilità per il case-finding (ricerca dei casi)

Kanis JA, Johansson H, Oden A, De Laet C, Johnell O, Eisman JA, McCloskey E, Mellstrom D, Pols H, Reeve J, Silman A, Tenenhouse A.
Centro di Collaborazione dell'OMS per le Malattie Metaboliche dell'Osso, Università di Sheffield Medical School, Beech Hill Road, S10 2RX, Sheffield, UK.

Il numero di ottobre 2004 del Giornale Internazionale dell'Osteoporosi, pubblica uno studio su "Consumo di latte e rischio di fratture" condotto alla scuola di Medicina dell'Università di Sheffield, Regno Unito, per conto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

I ricercatori hanno studiato 28.300 donne e 12.200 uomini, per un totale di 39.563 pari a 152.000 anni-persona, ed hanno concluso che "una bassa assunzione di calcio (inferiore a 1 bicchiere di latte al giorno) non è risultata associata con un significativo aumento di fratture di tutti i tipi, di fratture osteoporotiche e di fratture di femore", concludendo che "un basso consumo di latte (come autodichiarato dai soggetti del campione studiato) non risulta associato con alcun serio aumento nel rischio di frattura e che l'uso di questo indicatore di rischio è poco-nulla utile per il case-finding (ricerca dei casi)".

Questa nuova pubblicazione è in accordo con precedenti analoghi studi, che hanno concluso:

"L'assunzione di calcio non si dimostra protettiva nella prevenzione delle fratture dell'osso. Infatti, le popolazioni con i più elevati consumi di calcio hanno presentato più elevati tassi di frattura rispetto a quelle con assunzioni ci calcio più modeste." Calif Tissue Int 1992;50

"Non è stata rilevata alcuna correlazione significativa tra il consumo di latte degli adolescenti ed il rischio di fratture in età adulta. I dati indicano che una frequente assunzione di latte e più elevate assunzioni di calcio con la dieta nelle donne di mezza età non forniscono protezione nei confronti delle fratture del femore e dell'avambraccio…le donne che consumano le maggiori quantità di calcio a partire dai derivati del latte presentano un rischio significativamente aumentato di fratture di femore, mentre nessun aumento del rischio è stato osservato, per gli stessi introiti di calcio a partire da fonti alimentari non-casearie. 12-year Harvard study of 78,000 women American Journal of Public Health 1997;87

Leggi l'abstract in italiano.
Originale: Kanis JA, Johansson H, Oden A, De Laet C, Johnell O, Eisman JA, McCloskey E, Mellstrom D, Pols H, Reeve J, Silman A, Tenenhouse A A meta-analysis of milk intake and fracture risk: low utility for case finding, Osteoporos Int. 2004 Oct 21; [Epub ahead of print]

16-1-2005

Verdura cruda, verdura cotta e rischio di cancro

Link LB, Potter JD.
Cancer Epidemiology, Mailman School of Public Health, Columbia University, New York, New York 10032, USA. lbl10@columbia.edu

E' noto come la verdura in generale possegga un effetto protettivo nei confronti del cancro. In questa rassegna, i ricercatori della Columbia University School of Public Health hanno cercato di determinare se questo effetto protettivo sia maggiore per la verdura cruda o cotta, esaminando la totalità degli studi ad oggi disponibili (pubblicati nel corso della scorsa decade) nel tentativo di evidenziare eventuali differenze.

Leggi l'abstract in italiano.
Leggi il commento del dr. Greger in italiano
Originale: Link LB, Potter JD Raw versus cooked vegetables and cancer risk, Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2004 Sep;13(9):1422-35.

4-12-2004

Assunzione di soia e concentrazioni ematiche di colesterolo: uno studio trasversale su 1033 donne in pre- e postmenopausa nel "braccio" di Oxford dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition)

Questo articolo, recentemente pubblicato sull'American Journal of Clinical Nutrition, la più prestigiosa rivista internazionale di nutrizione, riporta i risultati di un'indagine sul consumo regolare di soia nella dieta. Anche l'assunzione di modiche quantità di soia è risultata in grado di influenzare in modo favorevole i livelli di colesterolo totale e colesterolo-LDL, risultando quindi protettiva nei confronti delle malattie vascolari. Gli autori sono dei famosi epidemiologi dell'Università di Oxford (Cancer Research UK Epidemiology Unit, University of Oxford, Oxford, UK. magdalena.rosell@cancer.org.uk)

Leggi l'abstract in italiano.
Originale: Rosell MS, Appleby PN, Spencer EA, Key TJ Soy intake and blood cholesterol concentrations: a cross-sectional study of 1033 pre- and postmenopausal women in the Oxford arm of the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition, Am J Clin Nutr. 2004 Nov; 80(5):1391-6.

20-11-2004

Un pattern dietetico derivato per spiegare la variazione dei marcatori biologici è fortemente associato con il rischio di malattia coronarica.

Leggi l'abstract in italiano
Originale: Hoffmann K, Zyriax BC, Boeing H, Windler E A dietary pattern derived to explain biomarker variation is strongly associated with the risk of coronary artery disease, Am J Clin Nutr. 2004 Sep; 80(3):633-40.

8-11-2004

Consumo di latte e calcio dai cibi e fratture nelle donne: uno studio prospettico di 12 anni.

Leggi l'abstract italiano
Originale: Feskanich D, Willett WC, Stampfer MJ, Colditz GA Milk, dietary calcium, and bone fractures in women: a 12-year prospective study, Am J Public Health 1997 Jun; 87(6):992-7

6-10-2004

Comunicato congiunto di OMS/FAO sull'importanza di aumentare il consumo di frutta e verdura

Questo comunicato congiunto di OMS/FAO sull'importanza di aumentare il consumo di frutta e verdura per la prevenzione delle gravi malattie degenerative (non-trasmissibili), che ormai infestano il mondo occidentale, viene proposto come stimolo a modificare le abitudini dietetiche verso maggiori consumi di questi cibi.

Versione in inglese - Versione in italiano - Fonte

20-9-2004

Dieta, nutrizione e prevenzione del cancro

Questo articolo, recentemente pubblicato sul Journal of Public Health Nutrition, propone un'utile sintesi delle evidenze epidemiologiche sui rapporti tra dieta e cancro. Gli autori sono dei famosi epidemiologi dell'Università di Oxford (Cancer Research UK Epidemiology Unit, University of Oxford, Oxford, UK - tim.key@cancer.org.uk)

Leggi l'abastract in italiano
Originale: Key TJ, Schatzkin A, Willett WC, Allen NE, Spencer EA, Travis RC Diet, nutrition and the prevention of cancer, Public Health Nutr. 2004 Feb; 7(1A):187-200.